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Una teoria di modificazione della personalità

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PROBLEMI ED OSSERVAZIONI

Nella maggior parte delle teorie, gli aspetti statici di contenuto e struttura della personalità hanno un peso preponderante, e date tali premesse, diventa un enorme problema l’intendere la mo­dificazione della personalità.

Il presente schema di riferimento teorico è volto invece essenzialmente a spiegare il cambiamento, dal momento che impiega concetti che si riferiscono al processo dell’esperienza, e ai rapporti tra questo processo e gli aspetti di contenuto della personalità.

TEORIA DELLA PERSONALITA’ E MODIFICAZIONE DELLA PERSONALITA’

Le teorie della personalità si sono occupate principal­mente dei fattori che determinano e spiegano le differenti personali­tà degli individui, così come sono, e dei fattori che hanno dato origine a quelle date personalità. Ciò che è chiamato personalità man­tiene le sue caratteristiche nonostante le circostanze. Aspetti particolari di una persona non riescono a confonderci, se la sua situazione attuale li spiega. Non lo attribuiamo certo alla personalità di un individuo, se questi manifesta ogni sorta di comportamenti indesi­derabili in circostanze opprimenti, o se diventa simpatico e sicuro sotto l’influsso di avvenimenti che, (come diciamo) renderebbero quasi tutti simpatici e sicuri. Quello che attribuiamo alla personalità è il contrario: quando uno continua ad essere simpatico e sicuro in circo­stanze schiaccianti, o quando resta angosciato nonostante la buona sorte.

Come se, lungi dallo spiegare il cambiamento di persona­lità, le nostre teorie si fossero sforzate di spiegare e di definire la personalità come ciò che non tende a mutare, anche quando ci si potrebbe aspettare un mutamento.

In certa misura, questa considerazione della personalità come insieme di fattori che resistono al cambiamento, è giustificata. Il nostro concetto di persona comprende di solito l’identità e la continuità nel tempo. Tuttavia, nelle teorie, i contenuti e i modelli sono un genere di concetto esplicativo, che rende il cambiamento impossibile per definizione. La struttura di personalità (nelle teorie) è formulata come ciò che si conserva contro tutte le esperienze nuove che potrebbero modificarlo. L’individuo è visto come un’entità fissamente struttu­rata, con contenuti definiti. Questi concetti esplicativi sono in grado di spiegare soltanto perché una persona non poteva cambiare.

La teoria della personalità si è, dunque, polarizzata sui fattori che spiegano perché un individuo è come è, in quale modo è di­ventato così; e come questi fattori lo mantengano così, nonostante le circostanze. Simili concetti esplicativi di contenuto e struttura ci di­cono cosa impedirà ad una persona di essere cambiata dall’esperienza, quali fattori la obbligheranno per sempre (per definizione) ad omettere o deformare qualunque cosa possa cambiarla, a meno che la sua perso­nalità non cambi (in qualche modo) prima.

Dal momento che la struttura e il contenuto tendono a conservare se stessi e ad alterare l’esperienza in corso, è solo mostran­do esattamente come questa resistenza al cambiamento cede ad esso, che ci rendiamo conto della modificazione della personalità.

In passato, le teorie non intendevano descrivere l’impossibilità del cambiamento della personalità. Esse affermano anzi che il cambiamento avviene realmente. Le principali teorie di personalità sono nate dalla psicoterapia – cioè, quando la psicoterapia ha avuto successo, da un cambiamento di personalità in corso. Abbastanza pa­radossalmente, poiché la modificazione della personalità si produce sotto i loro occhi e con la loro partecipazione, i terapeuti si scoprono a formulare cosa c’era che non funzionava. Perfino il soggetto, mentre esplora i propri sentimenti e li esprime, parla come se tutto lo sforzo fosse di cercare cosa c’era di sbagliato che cosa ha formato quegli aspetti della sua personalità che hanno impedito il consueto adattamento e cambiamento.

­Di solito, questa persona diventa consapevole di molte cose che, afferma poi, sono state vere tutto il tempo, ma delle quali non era consapevole.

Così la psicoterapia regolarmente ci offre questa osservazione, di una persona “che rivela” o “diventa consapevole” di questi contenuti refrattari e della sua precedente incapacità di rendersene con­to. Le varie teorie di personalità hanno formulato questi contenuti e questa struttura censoria e autopreservantesi, così bene che, se da un lato abbiamo concetti che spiegano cosa rende una persona tale, dall’altro non possiamo formulare come cambia. Eppure per tutto il tempo la persona stava cambiando proprio quei fattori “rivelati” che noi esprimiamo con spiegazioni statiche di contenuto. (1)

Desidero ora presentare più dettagliatamente i due princi­pali punti di vista attraverso i quali gran parte dell’attuale formulazio­ne del concetto di personalità rende il cambiamento teoricamente impossibile. Chiamerò queste due impossibilità “paradigma rimozione” e “paradigma contenuto”. (2)

Dal momento che anche queste teorie, tuttavia, affermano che il cambiamento si verifica, mi occuperò in seguito delle due princi­pali maniere con cui tali teorie cercano di spiegare il cambiamento.

Proverò a mostrare che le teorie solitamente citano due osservazioni: un processo del sentire (A FEELING PROCESS) ed una certa relazione personale .

DUE PROBLEMI

IL “PARADIGMA RIMOZIONE”
 La maggior parte delle teorie della personalità (con formu­lazioni e, talvolta, significati differenti) hanno in comune quello che io chiamo il “paradigma rimozione”.

Su questo punto esse concordano: nelle sue prime relazio­ni familiari, la persona ha introiettato alcuni valori, secondo i quali veniva amata solo se sentiva e si comportava in un determinato modo. Le esperienze in contrasto con quanto si pretendeva da lui, venivano ad essere “rimosse” (Freud), “negate alla coscienza” (Rogers) o “non me” (Sullivan). Più tardi, quando la persona incontra esperienze che contraddicono i valori introiettati, deve distorcerle o rimanere del tut­to inconsapevole di esse, perché, prestando loro attenzione, diventereb­be intollerabilmente ansioso. L’ego (Freud), il concetto di sé (Rogers) o il self-dynamism (Sullivan) influenzano quindi alla base la consapevo­lezza e la percezione. Questa influenza è definita “resistenza” (Freud), “attitudine difensiva” (Rogers) o “operazione sicurezza” (Sullivan), e gran parte del comportamento è perciò spiegabile. Una personalità è come è, e rimane come è, perché non può rendersi conto di queste esperienze. Se invece, in qualche modo, la rimozione viene forzatamente tolta, e la persona è portata a rendersi conto di queste esperienze, l’ego “perderà il controllo” il sé “andrà in disintegrazione”, e intollerabili “emozioni inquietanti” interverranno. Nella psicosi, è stato detto, la persona è consapevole di tali esperienze e l’ego o l’organizzazione del sé si sono infatti frantumati.

Se l’individuo avesse bisogno soltanto di essere aiutato a ricordare, o a prestare attenzione ai fattori “rimossi”, presto egli si riprenderebbe. Ci sono sempre persone caritatevoli o arrabbiate che cercano di far ciò, e molte sono le situazioni che, grossolanamente, do­mandano attenzione a questi fattori. La persona, tuttavia, rimuove non solo tali fattori dentro di se, ma anche tutto ciò che, esternamente, a questi si collega e a questi lo riporta. (3) Egli fraintende o reinterpreta così da impedirsi di notare aspetti di persone ed eventi che po­trebbero portare questi fattori alla sua consapevolezza.

Così la specifica struttura di personalità conserva se stessa, e il cambiamento è in teoria impossibile. Tutto ciò che potrebbe modificare la persona è deformato nei punti necessari o passa inosservato proprio nella misura e relativamente agli aspetti che potrebbero togliere la rimozione e cambiare la persona.

Questa spiegazione (condivisa in certo modo, come ho cercato d’indicare, dalle principali teorie di personalità del nostro tempo) (4) si basa sulla singolare maniera in cui la persona, durante la psicoterapia, diviene consapevole di ciò (come ora dice) che a lungo ha sentito, ma non sapeva di sentire. Egli si rende conto inoltre con quanta forza quelle esperienze prima sconosciute abbiano influito sui suoi sentimenti e sul suo comportamento. Questa è senz’altro una osservazione valida, se tante persone la riportano. Resta ora aperta la questione di come esprimere ciò teoricamente.

Una volta formulata la teoria secondo le linee del paradigma rimozione, non possiamo girare intorno gaiamente e “spiegare” la modificazione della personalità come un “divenire consapevoli” del materiale precedentemente rimosso. Una volta indicato come tutto ciò che tende a portare a galla quelle esperienze venga deformato, non possiamo considerare una spiegazione la semplice affermazione che il cambiamento di personalità è un divenire consapevoli, ciò che è per definizione supposto impossibile. Il cambiamento avviene. Ma dire questo non significa offrire una spiegazione significa enunciare il problema. Possiamo considerare il “paradigma rimozione” uno degli aspetti di base del cambiamento di personalità, uno dei due fattori fondamentali cui questo capitolo sarà dedicato. Per spiegare la modificazione di personalità, dovremo renderci conto di come avvenga in realtà questo cruciale processò del divenire consapevoli, e poi dovremo tornare da capo e riformulare la nostra teoria della rimozione e dell’inconscio.

IL “PARADIGMA CONTENUTO”
Il secondo aspetto fondamentale del cambiamento di per­sonalità (e la seconda via attraverso la quale viene correntemente for­mulata l’impossibilità teorica del cambiamento) riguarda la concezione della personalità come costituita da vari “contenuti”. Per “contenuti” intendo qualsiasi entità definita, comunque venga chiamata: “esperienze”, “fattori”, “S-R bonds”, “necessità”, “impulsi”, “cause”, “valu­tazioni”, “caratteristiche”, “concetto di sé”, “ansietà”, “sistema mo­tivazionale”, “fissazioni infantili”, “carenze di sviluppo”, o altro.

Se vogliamo comprendere la modificazione di personalità, dobbiamo capire in che modo questi costituenti possano cambiare nella loro natura.

 Per spiegare questo cambiamento nella natura dei contenu­ti, è necessario un tipo di definizione (costrutto esplicativo) che anche possa cambiare. Non possiamo spiegare il cambiamento nella natura del contenuto quando la nostra teoria definisce in modo specifico la personalità soltanto come contenuto. Una teoria del genere può formu­lare che cosa è necessario cambiare, poi, che cosa è cambiato, e in cosa si è mutato; ma rimarrà una teoria senza spiegazione come tale cambiamento sia possibile, fintanto che le nostre spiegazioni saranno in termini di concetti di questo o quel definito contenuto.

Abbiamo bisogno di un tipo di variabili basilari della personalità, per formulare una spiegazione di come, in quali condizioni, e attraverso quale processo, può intervenire il cambiamento nella natura dei contenuti

Analogamente la chimica spiega gli elementi in termini di attività più elementari di elettroni e protoni, e con ciò noi possiamo spiegare i processi subatomici mediante i quali gli elementi si impegnano in reazioni di trasformazioni chimiche, e attraverso i quali un elemento può essere bombardato con particelle subatomiche e trasformato in un elemento differente. Senza questi concetti, che spiegano gli elementi come movimenti di qualcosa di più fondamentale, non potremmo spiegare il cambiamento chimico e atomico che osserviamo, né studiarlo in termini operativi e definire le condizioni alle quali si verifica. Potremmo solo stabilire che a t1 la provetta ha certi contenuti A, E, mentre a t2 i contenuti sono C,D. Solo se A, B, C, D non sono in se stessi gli ultimi concetti esplicativi, possiamo aspettarci di spiegare i cambiamenti dall’uno all’altro. Così per la modificazione di personalità. Se i nostri ultimi costrutti esplicativi sono i “contenuti”, non possiamo spiegare il cambiamento nella natura appunto di questi contenuti.

A questo punto, la nostra conclusione non è semplicemente che non esistono contenuti specifici di personalità. Riteniamo piuttosto che, se definiamo la personalità come contenuti e in nessun’altra, più fondamentale maniera, non possiamo poi aspettarci di utilizzare gli stessi concetti per spiegare proprio come questi contenuti cambino. E, visto che sono stati proprio questi contenuti a definire la personalità (e gli aspetti in cui deve avvenire il cambiamento se ci deve essere una importante modificazione di personalità), proprio questo compito teoricamente impossibile si pone, quando le teorie di personalità arrivano a spiegare il cambiamento.

Per esempio, durante la psicoterapia il paziente finalmente è giunto a rendersi conto di questi contenuti essenziali (che saranno concettualizzati a seconda del vocabolario della particolare teoria seguita dallo psicoterapeuta). Egli si rende conto ora che era pieno di “ostilità”, o che i suoi sentimenti ed azioni erano determinati da “desideri sessuali parziali”, fissati, o che lui “odia suo padre”; o che è “passivo-dipendente”, o che “non è mai stato amato da bambino”. “E ora?” egli domanda, Come cambiare questi contenuti? Non c’è alcun modo. Il fatto che questi contenuti cambino realmente è un colpo di fortuna. Le teorie spiegano la personalità in termini di contenuti definiti, come “esperienze”, “necessità” o “carenze” ma non chiariscono come questi contenuti perdano il loro carattere per divenire qualcosa di carattere differente. Eppure lo fanno.

Il nostro secondo problema di base, nei confronti del cambiamento di personalità è, dunque, questo “paradigma contenuto”. La questione è: “In che modo dovrebbe cambiare la natura delle definizioni di personalità per raggiungere una definizione che colleghi il processo del cambiamento ai contenuti di personalità?”. Descriveremo in risposta qualcosa di più elementare e decisivo che non contenuti determinati. Considereremo poi come definiti contenuti intervengano in questo più elementare processo di personalità.

DUE OSSERVAZIONI UNIVERSALI Dl MODIFICAZIONE DELLA PERSONALITA’
Dopo aver enunciato i due problemi di fondo relativi alla modificazione di personalità (il processo del divenire consapevoli e il cambiamento nella natura dei contenuti), ci rivolgeremo ora alle due osservazioni principali sulla modificazione di personalità. Contrariamente alle suddette impossibilità teoriche, la maggior parte delle teorie di personalità citano due osservazioni che asseriscono essere quasi sempre coinvolte nel cambiamento della personalità.

1) La modificazione di personalità più importante comporta un qualche tipo d’intenso processo affettivo che si svolge nell’individuo.

2) La modificazione di personalità più importante si realizza quasi sempre nel contesto di una relazione personale.

IL PROCESSO DEI SENTIMENTI (THE FEELING PROCESS)
Quando si verifica un’importante modificazione di perso­nalità, si osservano abitualmente eventi caratterizzati da emozioni in­tensamente vissute. Voglio chiamare “processo dei sentimenti” que­sta dimensione affettiva della modificazione di personalità. Il termine “feeling” è preferibile ad “affettivo”, perché “feeling” si riferisce di solito a qualcosa che è concretamente percepito dall’individuo. Nella modificazione di personalità la persona vive direttamente un’interiore rielaborazione (REWORKING). I suoi concetti e costrutti divengono parzialmente astrutturati, e la sua esperienza immediata a volte supera la sua presa intellettuale.

In diversi contesti è stato notato che la principale modifi­cazione di personalità richiede non solo operazioni d’intelletto o d’azio­ne, ma anche questo processo dei sentimenti. Per esempio, gli psicoterapeuti (di qualunque orientamento) discutono spesso sulla presenza od assenza di questo processo dei sentimenti in un caso particolare.

Discutono se la persona trascorra una data ora di psicoterapia in “pure” intellettualizzazioni, o se (come si esprimono a questo propo­sito) si impegna “realmente” nella psicoterapia. Essi considerano il primo caso come una perdita di tempo o una difesa, e prevedono (5) che da questo non risulterà alcuna particolare modificazione di perso­nalità. Considerano il secondo caso come promettente per una modificazione di personalità.

Ora, benché questa differenza sia universalmente discussa, viene per lo più espressa in modo così poco chiaro, e così inde­finite sono le parole che seguono a “puramente” (“puramente” intellet­tualizzare, difendersi, evitare, esternalizzare etc.) e a “realmente” (“realmente” impegnarsi, affrontare), che potremmo semplicemente ri­ferirci a questa differenza come alla differenza tra “puramente” e “realmente”. Benché possa esser formulato in modo confuso, ciò a cui ci si riferisce sempre attraverso “realmente” è un processo di sen­timenti che è assente quando si impiega il termine “puramente” (…).

Un terapeuta Adleriano mi disse anni or sono: “Natural­mente, l’interpretazione non basta. Una persona non cambia, è ovvio, solo per la saggezza che gli infonde il terapeuta. Ma non esiste tecnica che esprima realmente che cosa è a produrre il cambiamento stesso. Il cambiamento avviene attraverso una specie di digestione emozionale; ma poi bisogna ammettere che nessuno di noi capisce di che cosa si trat­ti.

I terapeuti spesso dimenticano questo fatto. Si sforzano di portare l’individuo ad una migliore comprensione di ciò che in lui è sbagliato, ma quando si chiede loro come l’individuo possa cambiare questo disadattamento, ora chiaramente spiegato, niente di veramente chiaro è detto. In qualche modo, conoscendo il suo problema, la per­sona dovrebbe cambiare, tuttavia conoscere non è il processo del cambiare.

Un buon diagnostico, aiutandosi con qualche test psicome­trico, spesso è in grado di descrivere e spiegare accuratamente la per­sonalità di un individuo. Dopo tali tests e alcuni colloqui, spesso sia il terapeuta che il cliente conoscono buona parte di quello che non va e che bisognerebbe cambiare. Abbastanza spesso, dopo due anni di col­loqui terapeutici, la descrizione e la spiegazione date al principio ri­sultano, in retrospettiva, abbastanza accurate. Eppure è chiaro che c’è una differenza capitale tra il conoscere la spiegazione concettuale della personalità (che si può elaborare in poche ore) e l’effettivo processo vissuto del cambiamento (che spesso richiede anni). Relativamen­te poco è stato detto a proposito di questo processo (6), come si possa osservarlo e misurarlo, e quale sia il suo tipo di funzionamento teo­rico che consente la modificazione di personalità.

LA RELAZIONE PERSONALE
Proprio come si rileva l’importanza del processo dei sen­timenti nel cambiamento di personalità mentre poco viene detto per descrivere, precisare o spiegare in teoria tale processo così anche viene sempre citata la relazione personale. Può la teoria delineare l’enorme e critica differenza che fa per l’individuo vivere in relazione con un’altra persona?

Osserviamo che quando una persona riflette sulle proprie esperienze ed emozioni da sola, spesso c’è uno scarso cambiamento. Osserviamo quando ne parla con qualcun altro, ugualmente non si veri­fica un gran cambiamento. Ma se egli entra in una relazione personale “terapeutica” o “efficace”, diciamo che il “consiglio” o il “sostegno li­bidinale”, l’”approvazione e rinforzo” o le “attitudini terapeutiche” dell’altra persona, o la “conversazione tra i due inconsci” in qualche modo ovviano ai fattori che, diversamente condizionano la sua esperien­za e le sue relazioni personali a mantenerlo sempre uguale. in un modo o nell’altro, ora, diciamo che egli è “diventato cosciente” di ciò di cui prima non era, che è stato influenzato dai consigli, che “ha superato” il transfert, che il suo “equilibrio libidinale” si è modificato o che ora in qualche modo “percepisce le attitudini” del terapeuta, mentre aveva sempre travisato e anticipato le attitudini degli altri. Questo in realtà è il problema, e non la spiegazione, del cambiamento di personalità.

Ma osserviamo che quasi sempre questi cambiamenti si verificano nel contesto di una relazione personale. Una definizione del genere di relazione che produce il cambiamento di personalità (e che non lo produce) è stata offerta da Rogers (1957, 1959 b). Molto poco è stato detto sul modo in cui gli eventi relazionali influiscono sulle condizioni che producono la rimozione e sulla natura dei contenuti, in modo da cambiarli.

Abbiamo così formulato due problemi del cambiamento di personalità e abbiamo quindi citato due osservazioni; il processo dei sentimenti nell’individuo e la relazione personale.

Le nostre due osservazioni e i nostri due problemi sono correlati: ma, mentre è teoricamente impossibile per una persona di­ventare consapevole di ciò che deve rimuovere e mutare i contenuti del­la sua personalità in altri contenuti, osserviamo che entrambi i fatti si verificano quando la persona è impegnata in un profondo e intenso processo dei sentimenti e nel contesto di una relazione personale.

Abbiamo bisogno di spiegare teoricamente questa eventualità osservata, e abbiamo bisogno di riformulare la teoria della rimozione e le definizio­ni dei componenti della personalità in modo che le modificazioni osser­vate possano esser formulate in teoria.

LA TEORIA

CONCETTI DI BASE – COSA SONO I FENOMENI PSICOLOGICI ?

1 – EXPERIENCING

a) La desinenza “ING” del termine “experiencing” indica che l’esperienza è concepita come un processo. (Vogliamo definire i concetti teorici che vanno a costituire la struttura di un processo).

Ora, naturalmente, la precedente non è una vera definizione, perché l’utilizzazione del termine “esperienza” è generalmente confusa e mutevole. In campo psicologico manca una teoria dell’esperienza. La teoria dell’experiencing, tuttavia, (Gendlin, 1962 b) cerca di fornire un procedimento per stabilire una teoria dell’esperienza.

Poiché il termine “experiencing” è estremamente vasto, ter­mini più specifici verranno precisati per specifici aspetti dell’esperien­za, quali un particolare tipo o modo di esperienza, una speciale funzione di questa o un particolare modello logico, che scegliamo d’imporre.

Il termine “experiencing”, dunque, denota tutta l'”esperien­za” considerata nei termini della struttura di un processo.

b) Come, in psicologia, la parola “esperienza” dovunque impiegata, si­gnifica eventi psicologici concreti, così experiencing è un processo di eventi concreti in corso.

c) Infine, per experiencing intendiamo un processo emozionale. Inten­diamo eventi vissuti intimamente ed in modo corporeo, e riteniamo che la concreta “essenza” della personalità o dei fenomeni psicologici sia questo fluire di sensazioni corporee e di sentimenti.

L’experiencing è il processo emozionale concreto e corporeo che costi­tuisce la materia fondamentale dei fenomeni psicologici e di personalità.

2 – IL REFERENTE DIRETTO

Tanto nelle conversazioni quotidiane che in teoria, siamo talmente immersi negli avvenimenti esterni e nei significati logici, che sembra difficile prestare attenzione al vissuto corporeo e ai sentimenti che pure abbiamo, oltre agli argomenti e alla logica esterna. Questo è, naturalmente, un luogo comune che può essere con facilità verificato da ognuno.

In ogni momento lo si desideri, ci si può sempre riferire direttamente al dato emozionale interiore. Chiamo “referente diretto” l’experiencing, quando si riferisce direttamente al dato emozionale.

Esistono certo altri modi di esperienza. Situazioni ed eventi esterni, simboli ed azioni possono interagire con il nostro processo emozionale quasi senza bisogno che noi facciamo attenzione al referente diretto. Noi siamo consapevoli e sentiamo con o senza tale diretta attenzione.

Ci si può sempre riferire direttamente all’experiencing.

3 – IMPLICITO

E’ meno evidente, ma ancora facilmente verificabile da cia­scuno, che questo referente diretto include significati. Può sembrare all’inizio che l’experiencing sia semplicemente la sensazione viscerale del nostro corpo, la sua tensione o il suo benessere. Ma, dopo ulterio­re riflessione, ci accorgiamo che solo in questo percepire direttamente le nostre sensazioni abbiamo proprio quei significati di cui parliamo e pensiamo. Se non “viviamo” il significato, i simboli verbali sono sol­tanto suoni (o immagini sonore di suoni).

Per esempio, un tale dopo averti ascoltato ti dice : “Scusami, ma non afferro quello che vuoi dire”. Se vuoi riformulare quello che hai da dire con parole differenti, ti accorgerai che devi volgerti interiormente al tuo referente diretto, al tuo significato emozionale. Solo così puoi arrivare alle parole differenti con cui esprimerti di nuovo.

In effetti, impieghiamo simboli espliciti solo per piccole porzioni di quello che pensiamo, e che viviamo per lo più sotto forma di significato emozionale.

Per esempio, quando riflettiamo su un problema, facciamo una quantità di considerazioni contemporaneamente. Non possiamo far questo verbalmente. Infatti, non potremmo assolutamente cogliere il significato di queste considerazioni se dovessimo continuamente passa­re in rivista i simboli verbali. Possiamo riesaminarle verbalmente. Ma per riflettere sul problema dobbiamo utilizzare il significato emozionale, dobbiamo pensare come “questo” (che abbiamo prima verbalizzato) si colleghi con “quello” (che pure prima abbiamo verbalizzato). Per pensare a “questo” e a “quello” impieghiamo il loro significato emozionale.

Quando i significati emozionali entrano in interazione con i simboli verbali e noi viviamo il significato dei simboli, questi significati li chiamiamo “espliciti” o “esplicitamente conosciuti”. D’altra parte, spesso abbiamo solo i significati emozionali, senza simbolizzazione verbale. Abbiamo invece un evento, una percezione, una parola come la parola “questo” (che non rappresenta nulla, se non momenti). In questo caso, chiamiamo il significato “implicito” o “implicitamente vissuto, ma non conosciuto esplicitamente”.

Si osservi che sia i significati “impliciti” che quelli “espli­citi” sono ugualmente coscienti. Quello che viviamo concretamente e a cui ci riferiamo interiormente è sicuramente “nella coscienza” (ben­ché il termine “coscienza” esiga in seguito una riformulazione). Si discute spesso impropriamente del significato “implicito” come se fos­se “inconscio” o “non alla coscienza”. Dovrebbe essere abbastanza chiaro che, poiché il referente diretto è vissuto ed è un dato diretto dell’attenzione, esso è “alla coscienza”. Qualsiasi cosa venga chia­mata “implicita” è vissuta coscientemente.

Dobbiamo inoltre aggiungere ora che, anche quando un significato è esplicito (quando noi diciamo “esattamente ciò che significa per noi”), il senso emozionale che ne abbiamo comprende sempre una quota di significati impliciti maggiore di quelli che abbiamo esplicitato. Quando precisiamo le parole che abbiamo appena usato, o quando “ela­boriamo” ciò che intendiamo “significare”, ci accorgiamo che il senso emozionale di cui ci siamo serviti include sempre molteplici significati impliciti sempre molti di più di quelli cui abbiamo dato esplicita for­mulazione. Scopriamo di aver impiegato questi significati, che erano centrali in quello che abbiamo reso esplicito. Sono stati essi a costi­tuire l’impalcatura per ciò che abbiamo voluto significare, eppure era­no soltanto vissuti. Erano impliciti.

4 – FUNZIONE IMPLICITA (NELLA PERCEZIONE E NEL COMPORTAMENTO)

Finora abbiamo pensato ai significati impliciti come se esi­stessero soltanto nel referente diretto; ossia solo se e quando ci rife­riamo direttamente al nostro vissuto esperienziale, in quanto dato dei sentimenti. Tuttavia, anche senza questo riferimento diretto all’espe­rienza, la maggior parte della vita e del comportamento procede su significati impliciti (i significati espliciti servono solo a pochi scopi particolari). Quando noi diciamo, per esempio, che le nostre interpretazioni e reazioni alle situazioni attuali sono determinate dalle nostre pas­sate esperienze, non ci chiediamo in che modo l’esperienza del passa­to esista ora. Se, per esempio mi trovo a descrivere una situazione che ho appena osservato, in che modo sono presenti ed operanti ades­so, il ricordo di questa situazione, la conoscenza ed esperienza di passati eventi e la mia conoscenza del linguaggio? Per descrivere que­sta situazione, le parole mi verranno dal senso emozionale di quello che ho osservato, a cui ho reagito, e che ora intendo esprimere. Raramente, per non dire mai, penso proprio in parole a quello che osser­vo nel momento. Neppure rifletto ad ognuna delle esperienze passate che sono operanti nella mia osservazione. Raramente penso proprio in termini espliciti a quello che intendo dire.

Tutti questi significati funzionano implicitamente come mia esperienza attuale, concretamente vissuta.

5 – COMPLETAMENTO; PROCESSO DEL PORTARE AVANTI (COMPLETION; CARRYNG FORWARD)

6 – INTERAZIONE

I significati impliciti sono incompleti. Il completamento attraverso i simboli o portare avanti è un processo emozionale cor­poreo. C’è un movimento d’interazione, non un’equazione, tra signifi­cato implicito e simboli.

Devo assolutamente chiarire che i significati “impliciti” ed “espliciti” differiscono nella loro natura. Possiamo sentire che una formulazione verbale esprime esattamente quello che intendevamo; tuttavia, vivere il significato non è lo stesso genere di cosa che ver­balizzarlo in simboli. Come abbiamo indicato, un significato emozio­nale può includere molti altri significati e può essere elaborato anco­ra ed ancora. Così, il significato emozionale non è della stessa spe­cie del significato esplicito simbolizzato con precisione. La ragione per cui la differenza nella specie è così importante sta nel fatto che se noi la ignoriamo supponiamo che i significati espliciti sono (od era­no) già nel significato emozionale implicito. Siamo portati ad immagi­nare il significato emozionale implicito come se questo fosse una sor­ta di oscuro luogo, nel quale siano nascosti infiniti significati esplici­ti. Supponiamo quindi erroneamente che questi significati sono “im­pliciti” e vissuti solo in quanto sono “nascosti”. Devo ribadire che il dato “vissuto” o “implicito” dell’esperienza è una sensazione di vita corporea. In quanto tale può avere infiniti aspetti organizzati ma non per questo concettualmente formati, espliciti, e nascosti. Piuttosto, noi completiamo, e formiamo questi aspetti quando li esplicitiamo. Pri­ma della simbolizzazione, i significati “vissuti” sono incompleti. Essi sono analoghi, consentitemi il parallelo, al movimento dei muscoli del mio stomaco che posso chiamare “fame”. Questa sensazione “significa” certamente qualcosa che riguarda il mangiare, ma non “contiene” il man­giare. Per usare un’espressione più pittoresca, la sensazione di fame non è l’atto del mangiare rimosso. Non contiene, nel suo interno, la ri­cerca di un animale, la sua uccisione, l’arrostire questo animale, il man­giarlo e digerirlo, l’assorbimento di particelle di cibo e l’escrezione e l’interramento delle feci. Ora, proprio come tutte queste fasi (alcune delle quali sono codificate nell’organismo neonato, mentre altre vengono apprese) non esistono nella sensazione di fame delle contrazioni dello stomaco, così pure in essa non esiste il significato simbolico “fame”. I simboli devono interagire con i sentimenti prima che si abbia un signi­ficato. Il simbolo verbale “fame”, proprio come “cibo” deve interagi­re con ciò che si sente prima di far andare avanti il processo digestivo.

Il simbolo “fame”, come altri aspetti della ricerca di cibo o del fatto che io sieda a tavola, è una fase appresa del processo digestivo e spinge avanti questo processo. Prima che questo avvenga, la sensa­zione delle contrazioni muscolari include implicitamente la disponibilità­ codificata del corpo all’interazione organizzata, ma non le unità con­cettuali formate. Il vissuto globale implicito è preconcettuale. Solo quando interviene l’interazione con simboli (o eventi) verbali, il processo viene effettivamente portato avanti, e il significato esplicito si forma (7). Finché il vissuto è implicito, esso è incompleto, e necessita di simboli (o eventi) con i quali interagire in modi preorganizzati.

Perciò, rendere esplicito è portare avanti un processo emozionale corporeo. I significati impliciti sono incompleti. Non sono unità concettuali nascoste. Non hanno la stessa natura dei si­gnificati espliciti conosciuti. Non c’ è equazione possibile tra signi­ficati impliciti e “loro” esplicita simbolizzazione. Più che di equa­zione, si tratta di un’interazione tra esperienza vissuta e simboli (o eventi). (8)

IL PROCESSO DEI SENTIMENTI – COME HA LUOGO IL CAMBIAMENTO NELL’INDIVIDUO

7 – METTERE A FUOCO (FOCUSING)

L’atto della “messa a fuoco” (o meglio, “della messa a fuo­co continuata”) sarà meglio definito nei quattro punti seguenti (8÷11). “Mettere a fuoco” è il processo globale che risulta quando la persona si volge al referente diretto dell’esperienza vissuta.

Abbiamo già notato che il riferimento diretto è uno dei modi dell’experiencing. Il processo dei sentimenti che chiamiamo “experiencing” arriva alla consapevolezza della persona anche senza riferimento diretto ad esso come dato emozionale. Anche in altri modi, che discuteremo più oltre, l’experiencing ha importanti funzio­ni nella modificazione di personalità. ­Le definizioni precedenti (1-6) verranno impiegate nella discussione che segue, e quattro ulteriori definizioni, relative alla messa a fuoco verranno formulate.

Il movimento della messa a fuoco verrà analizzato in quat­tro fasi. La divisione in queste fasi corrisponde ad un mio modo di formulazione, più che ad una divisibilità in quattro parti, intrinseca al processo. Per quanto questo possa svolgersi in fasi separabili con chiarezza, per lo più non è così.

8 – RIFERIMENTO DIRETTO IN PSICOTERAPIA (FASE UNO DEL FOCUSING)

La persona fa direttamente riferimento ad un referente distintamente vissuto, ma concettualmente vago. Prendiamo il caso che egli stia discutendo qualche situazione o caratteristica personale che lo turba. Ha descritto vari eventi, emozioni, opinioni e interpretazioni. Forse si è dato dello “stupido”, dell'”assurdo”, e ha assicurato chi lo ascoltava che egli, in realtà, “conosce meglio” di quanto possa apparire dal suo modo di reagire. E’ confuso dalle proprie reazioni, le disap­prova. Oppure, ciò che è equivalente, difende accanitamente le proprie reazioni contro un critico reale o immaginario, che potrebbe dirgli che le sue reazioni non hanno senso, sono auto-distruttive, assurde, stupide.

Se lo si ascolta e gli si risponde con comprensione, egli può riuscire a riferirsi direttamente al significato emozionale che l’argomento ha per lui. Può mettere da parte per un momento tutti i suoi buoni giudi­zi o cattive impressioni sul fatto di essere così, e può far riferimento direttamente al significato emozionale di ciò di cui sta parlando. Può dire qualcosa come “Bene, so che non ha senso, eppure in qualche mo­do lo ha” (…). Se continua a focalizzare la propria attenzione sul suo referente diretto (se non smette perché gli sembra troppo sciocco, o brutto, o incerto se non stia solo intenerendosi su se stesso etc.) egli può riuscire a concettualizzare qualche rudimentale aspetto del refe­rente. Può scoprire per esempio: “Mi sento in questo modo ogni vol­ta che qualcuno mi fa questo e quest’altro” (…). Quando ha concettualizzato qualche aspetto di “ciò” allo stato grezzo, la persona di solito vive il significato emozionale più intensamente, è più stimolato e fidu­cioso riguardo al processo di focalizzare all’interno di se stesso, e me­no disposto a fissarsi su spiegazioni concettuali, accuse, apologie. E’ una profonda scoperta, per molti, trovare che è possibile continuare il riferimento diretto. Ciò viene ad essere profondamente apprezzato così: “Sono in contatto con me stesso”.

Via via che l’individuo continua a focalizzarsi sul referente diretto, può rompersi la testa per capire che razza di stranezze vada raccontando. Può chiamarle “questa sensazione” o “tutta questa cosa” o “questo è il modo in cui sono quando mi capita questo e quest’altro”. Molto chiaramente, nell’esperienza che vive in quel momento si tratta di un referente intimamente sentito. Non c’è niente di vago nel modo pre­ciso in cui la persona vive questo referente. Ad esso può rivolgere la sua attenzione interiorizzata. Solo concettualmente esso è vago.

Un fatto piuttosto importante e sorprendente sul riferi­mento diretto al significato emozionale è che se l’argomento in questione è ansiogeno o fortemente molesto, il disagio provato decresce via via che l’individuo si riferisce direttamente al significato emozionale. Ci si sarebbe aspettati l’opposto. Certo l’opposto è vero quan­do, per esempio, la persona sceglie tra diversi argomenti di discu­ssione. La prospettiva d’affrontare materiale difficile, ansiogeno, rende senz’altro la persona più agitata che non la prospettiva di parlare di un soggetto neutro o piacevole. Così egli può trovarsi in uno stato d’animo abbastanza penoso quando si decide ad aprirsi completamente su qualcosa. Ma, una volta in argomento, più egli si volge direttamente al referente, al significato emozionale, più il suo senso d’angoscia si va attenuando. Se egli per un momento perde contatto con il referente, l’ansia dilaga ancora, e torna il disagio diffuso per l’argomento in questione.

Quando una persona simbolizza qualche aspetto del signi­ficato emozionale, ne avverte l’esattezza in parte per il grado di sol­lievo dall’ansia che prova.

In contrasto con l’ansia e il disagio, il significato emo­zionale stesso diviene più netto, più distintamente sentito, via via che egli vi si riferisce e lo simbolizza correttamente. Infatti, la sensa­zione di “corretta” simbolizzazione è in parte dovuta proprio a questo senso di aumentata intensità del significato emozionale (9).

Questa attenuazione dell’ansietà è un fatto davvero sor­prendente, in netto contrasto con le generali supposizioni sul materia­le ansiogeno. Solitamente riteniamo che, mettendo a fuoco diretta­mente l’esperienza vissuta, si diventi più ansiosi. Le mie osserva­zioni indicano che l’ansia aumenta con la scelta dell’argomento, ciò che generalmente ci aspettiamo ma che d’altra parte, una volta in ballo, più direttamente una persona si localizza sul senso emozionale, maggio­re è la parte di questo che viene correttamente simbolizzata, più au­menta il sollievo.  Anche un lieve errore nell’attività di simbolizza­zione (“no, quello che ho appena detto non è proprio questo”) eleva di nuovo l’ansietà.

Possiamo teoricamente interpretare questa osservazione secondo le definizioni 5 e 6, e in base alla nostra utilizzazione del la­voro di Mead e Sullivan. Simbolizzare un significato implicito diret­tamente vissuto porta di un passo avanti il processo organismico. E’ così che viene vissuto.  Da questo sembra anche che potremmo consi­derare il riferimento diretto (o il prestare attenzione) già in se stesso un genere di simbolizzazione. Il riferimento diretto, proprio come le simbolizzazioni che ne risultano, implica riduzione della tensione pro­vata fisicamente (10)

Vi sono altri modi di descrivere l’attività di messa a fuo­co di una persona sul referente diretto dell’experiencing. Possiamo dire che, in quei momenti, il suo experiencing è “in vantaggio rispetto ai suoi concetti”, che “guida” i suoi concetti. Egli forma “concetti” e “li confronta” con il suo senso emozionale direttamente vissuto e, su questa base, decide della loro correttezza.

     Continuando a riferirsi direttamente al senso emozionale (che sta probabilmente chiamando “questo”), la persona può scoprire che la formulazione, che prima sentiva corretta, dev’essere sostitui­ta da un’altra che ora percepisce più corretta. Chi lo ascolta può aiu­tarlo orientando anch’egli le proprie parole a “questo” e aiutandolo a trovare parole e concetti che potrebbero aderire a tale significato “vissuto” (11). Non possono giudicare della correttezza dell’interazione né chi ascolta né la persona in questione ma, forse poeticamente, potremmo dire che a giudicare è proprio il referente diretto. Entrambe le persone potranno perciò sorprendersi della direzione che prende il processo di simboliz­zazione.

Abbiamo descritto come una persona possa riferirsi direttamente, o “fo­calizzare” un referente diretto dell’experiencing che, per lui, costitui­sce il senso emozionale di qualche argomento, situazione, comportamento o aspetto di personalità.

9 – IL RIVELARSI (UNFOLDING) (FASE DUE DEL FOCUSING)

A volte, focalizzando un referente direttamente vissuto, c’ è un graduale processo che, passo per passo, conduce all’esplicita conoscenza di cosa si tratta. Ancora, può “dischiudersi” in un solo drammatico istante. Più frequentemente c’è sia un processo graduale di migliore conoscenza, che alcuni istanti in cui si apprezza una reale “apertura”. Con un gran sollievo fisico e un’apparizione improvvisa, l’individuo conosce di colpo. Egli può sedere là, reclinato su se stes­so, pensando solo parole come “Si, l’ho capito” senza finora aver tro­vato concetti in grado di esprimere a se stesso che cosa “ha capito”. Tuttavia, sa che ora può dire. E’ possibile che, se ora viene inter­rotto all’improvviso, possa “smarrirlo” così che più tardi potrà solo dire “Davvero sentivo di sapere cos’ era in quel momento, ma ora non lo ritrovo più”. Di solito, però, troverà il più rapidamente possibile concetti e parole che esprimono che cosa si è aperto (…).

Il problema non è affatto risolto.  Al contrario invece, ora veramente sembra insolubile.  Ora appare chiaro perché rendesse co­sì ansiosi, sembra proprio senza via d’uscita.  Eppure c’è una grande riduzione di tensione, sperimentata fisicamente, quando il referente di­retto “si dispiega” in questo modo. Il rivelarsi di un referente diretto comporta sempre un riconoscimento sorprendente e profondamente emozionale del buon senso dei nostri personali sentimenti (prima così apparentemente molesti). “Ma certo” diciamo e ripetiamo “Naturalmente!” oppure: “Guarda, ecco cos’ era!”

Dal momento che ciò che era prima vissuto acquista ora realmente un significato, la risoluzione dal problema può avvenire a questo stadio. Possiamo infatti osservare che, dato questo o quel giudizio, percezione, evento o situazione, “naturalmente” abbiamo sentito in quel modo, ma ora non la pensiamo così. Tuttavia, anche quando la soluzione sembra più lontana che mai, ancora interviene la risoluzione fisiologica della tensione, ed un genuino cambiamento ha luogo. Considero questo cambiamento più fondamentale della risoluzione di problemi specifici (…).

Solo qualche volta ciò che si è rivelato conduce proprio a soluzioni in modo comprensibile. Più spesso, appena si dispiega il referente diretto si verifica un profondo cambiamento globale del modo di sentire, anche quando sembra che ne risulti qualcosa di peg­giore e di più irrimediabile di quello che ci si sarebbe aspettato. Sia o no percettibile una soluzione specifica, il cambiamento appare marcato e globale. Non è proprio quel dato problema a trovare solu­zione, o quella caratteristica a modificarsi, ma è un cambiamento che investe molte zone ed aspetti. Possiamo dire che siano tutti quanti gli aspetti impliciti in ogni significato emozionale a cambiare, nella loro vasta molteplicità  cioè la modificazione è globale. Possiamo anche dire che i significati sono aspetti del processo esperienzale, e che è proprio il modo dell’experiencing a modificarsi, quindi la qualità di tutti i suoi significati.

Così l’ ha definito un cliente: “Finora ho sempre visto questo problema in bianco e nero, e lottavo per una soluzione grigia. Ma ora, questa nuova via non è bianca o nera o grigia.  E’ a colori”.

Il rivelarsi di un referente vissuto non informa su ciò che era implicato, ma, piuttosto cambia tutto il modo di vivere l’e­sperienza.

10 – APPLICAZIONE GLOBALE (FASE TRE DEL FOCUSING)

Il modo globale con cui il processo del riferimento diretto e del rivelarsi interessa molti aspetti della persona è apprezzabile non solo in ciò che la persona più tardi riferisce, ma anche durante i mo­menti immediatamente successivi al dispiegarsi del referente emoziona­le. L’individuo è immerso in molte differenti associazioni, ricordi, si­tuazioni, circostanze tutte in relazione al referente emozionale. Per quanto possono essere concettualmente molto differenti, condividono lo stesso significato emozionale che la persona si è trovata ad affrontare (…) (12).

Durante questo periodo di “ampia applicazione” che spesso segue il dispiegarsi del referente sentito, la persona può sedere in si­lenzio, verbalizzando solo occasionalmente frammenti di questo flusso.

Mi rendo conto che alcune delle precedenti osservazioni sono state da altri chiamate “Insight”. Ritengo questa una definizione impropria. L’applicazione globale non è in alcun modo un calcolo mentale A FIGURING OUT, né soprattutto è una miglior comprensione.

­Insight e più adeguata comprensione sono piuttosto le conseguenze, i prodotti diretti di questo processo, come alcuni dei suoi molteplici aspet­ti cambiati richiedono un’attenzione particolare.  Si può esser certi che, per ogni applicazione cui la persona qui pensa esplicitamente, ce ne sono mille cui non pensa, ma che nondimeno sono proprio cambiate. Non la sua riflessione sulla differenza prodotta dall’Unfolding, ma l’Unfolding stesso modifica la persona in tutte queste migliaia di aspetti. Il cambiamento avviene sia che egli pensi – o non pensi – ad un’applicazione dell’Unfolding, sia che egli consideri – o non – l’Unfolding una chiave per risolvere i suoi problemi. Perché, come ho messo in evidenza, il cliente può benissimo andarsene dicendo “Non ho idea di cosa fare con questo, o come posso modificarlo”. “Questo” tuttavia è già cam­biato, e la vasta molteplicità di aspetti nei quali “questo” implicitamente funziona è tutta cambiata.

11- MOVIMENTO DEL REFERENTE (FASE QUATTRO DEL FOCUSING)

Una precisa modificazione o movimento del referente diretto è sentita. Questo “movimento del referente” spesso interviene dopo le tre fasi appena descritte. Quando c’è stato riferimento diretto, si verifica una drammatica rivelazione, e quando la piena dell’applicazione globale decresce, la persona scopre un referente diretto che ora sente diverso da prima. I significati impliciti che egli può simbolizzare da questo diretto riferimento sono ora abbastanza diversi. Si tratta di un nuovo riferimento diretto; così ricomincia il processo a quattro fasi. ­Ma il processo della messa a fuoco non sempre è così ordinatamente divisibile in quattro fasi. Come indicato prima, la rivelazione può avvenire con o senza un flusso apprezzabile di applicazione globale.  Può verificarsi anche sommessamente, a piccoli passi di successive sim­bolizzazioni. Anche senza questo dispiegarsi del referente, anche senza alcuna simbolizzazione che egli senta “corretta”, il riferimento diretto da parte dell’individuo può portare avanti il processo dei sentimenti e viene sperimentato attraverso riduzione fisica della tensione.  Ciò che stiamo chiamando qui la quarta fase della messa a fuoco, il movimento del refe­rente, può intervenire in uno qualsiasi di questi tempi. Solitamente, il riferimento diretto da solo non cambia né muove il referente diretto, ma lo rende più forte, netto, più distintamente vissuto, aumenta la sua intensità emozionale e diminuisce il senso diffuso di tensione e di disagio, l’ ansietà. Talvolta però il puro processo di riferimento continuo può cambiare o “muovere” il referente diretto.  Più spesso un tale movimen­to si verifica dopo almeno qualche rivelazione e simbolizzazione, e specialmente dopo la piena emozionale dell’applicazione globale.

La persona avverte distintamente una modificazione nella qualità del referente emozionale.

Non è soltanto un cambiamento, ma un'”elasticità” o “movi­mento” direttamente sperimentati, e che sono sentiti giusti e ben accetti.

L’enorme importanza del movimento di referente (anche minino) sta nel fatto che in seguito sono diversi i significati impliciti. E’ lo “scenario” che cambia, confrontandolo con quello di prima.

E’ proprio questo movimento del referente che solitamente viene a mancare quando uno chiacchiera su se stesso, quando ha recita­to tutte le buone ragioni, le considerazioni e i modi in cui dovrebbe sen­tire e che vorrebbe essere più sensibile per sentire, etc. La maggior parte delle volte, dopo di ciò, lo stesso immutato referente emozionale è ancora là, come pure la stessa diffusa ansietà. Da questa mancanza di movimento del referente, si comprende che nulla è realmente cambiato (…).

E’ il movimento del riferente a indicare la direzione del processo della messa a fuoco.  L’attenzione e l’attività di simbolizza­zione della persona tendono a seguire quella direzione che produce movimento di referente.

Senza questo movimento, ciò che viene detto è “pura” chiacchiera, “pura” intellettuallizazione, “puro” spaccare il capello in quattro, “pura” cronaca (…).

Il movimento del referente è un cambiamento nel signi­ficato emozionale che funziona nell’attività di simbolizzazione.

Spero di aver dato un’idea della caratteristica sovrap­posizione di ciò che chiamo le quattro fasi della messa a fuoco. Per riassumerle: fase uno, riferimento diretto ad un significato emozionale che è concettualmente vago ma vissuto in modo netto; fase due, rivelazione e simbolizzazione di alcuni aspetti; fase tre, un flusso di applicazione globale; fase quattro, movimento del referente e il processo può cominciare di nuovo con la fase uno.

Queste quattro definizioni (8-11) definiscono l’attività del­la “messa a fuoco” (FOCUSING).  (13)

12 – IL PROCESSO DEI SENTIMENTI VA AVANTI DA SE (THE SELF-PROPELLED FEELING PROCESS)

L’individuo che si impegna nel mettere a fuoco, quando si verifica il movimento del referente si trova spinto avanti in una direzio­ne che non ha scelto né previsto. Esiste un’enorme forza stimolante esercitata dal referente diretto, non appena questo è stato sentito. La persona può “andare fuori strada”, “chiacchierare di qualcosa d’altro ancora” o rassegnarsi a commenti che lo distraggono e a deduzioni inu­tili da parte di chi lo ascolta; ed ancora il referente diretto rimane sorprendentemente come la “prossima cosa” alla quale far fronte. Se la sensibilità dell’interlocutore lo rende possibile, la persona si scopre a muoversi da un movimento di referente e UNFOLDING ad un altro e così via. Ogni volta cambia e nuovi significati emozionali sono là per lui. I cicli di quattro fasi mettono in moto un processo dei sentimenti globale. Questo processo dei sentimen­ti ha una qualità sorprendente, concretamente vissuta, di auto-propulsione.

Come psicoterapeuta ho imparato a dipendere dalla spinta interna, autonoma, di questo processo dei sentimenti nel cliente.  Questo è un principio importante, perché io ho il potere di distrarlo.Quando mi capita di farlo (attraverso troppe spiegazioni o INSIGHTS personali in quello che egli dice) allora questo processo non si verifica affatto. D’al­tro canto, ho anche imparato che le mie domande e l’espressione persona­le possono essere utili, sempre che io intenda riferire quello che dico al referente ­emozionale della persona e che dimostri che mi piacerebbe che continuasse a focalizzare tale referente.

Allo scopo di permettere al processo dei sentimenti di ma­nifestarsi, dobbiamo talvolta restare in silenzio, almeno per un po’ di tempo. Se lui od io parliamo tutto il tempo, scarso riferimento diret­to può aver luogo. Perciò, quando egli ha smesso di parlare ed io ho smesso di rispondere, sono contento se c’è un momento di silenzio in cui egli può sentire il significato di quello che siamo andati dicendo. Sono particolarmente contento se la prossima cosa che egli dice non deriva semplicemente e logicamente da quanto abbiamo detto, ma indica che egli è immerso in qualcosa di vissuto. In tal modo posso apprez­zare un referente emozionale essere all’origine della transizione tra ciò che ha detto prima e le sue parole di ora. Questa “discesa” in se stesso, questa messa a fuoco, e il processo globale dei sentimenti che si espande, offrono verbalizzazione al sottostante flusso di eventi del­la modificazione di personalità. Questo processo dei sentimenti SELF-PROPELLED è il motore fondamentale della modificazione di persona­lità.

Quando questo processo dei sentimenti si è manifestato, con­tinua anche durante il tempo in cui la persona è impiegata nelle quattro fasi del processo di messa a fuoco che ho abbozzato. Così, durante i molti giorni tra due ore di psicoterapia, il cliente può scoprire che im­portanti pensieri, sentimenti, ricordi e insights gli “arrivano”. Può scoprire un generalizzato “senso di agitazione”, una “ricchezza d’avvertimenti” interiore, anche senza un contenuto simbolico specifico. Per­ciò in complesso il processo del sentire viene ad essere autopropulso e più ampio delle quattro fasi del FOCUSING che ho descritto.

IL RUOLO DELLA RELAZIONE PERSONALE – COME LE RISPOSTE Dl UN’ALTRA PERSONA INFLUENZANO L’EXPERIENCING INDIVIDUALE, E COME I “CONTENUTI” DI PERSONALITA’ SONO QUINDI INERENTAMENTE MUTABILI

Tendiamo ad occuparci talmente dei contenuti (significati simbolizzati) che talvolta discutiamo questioni psicologiche come se la personalità altro non fosse che contenuti. Dimentichiamo la chiara differenza che esiste non solo in ciò che è l’esperienza di una persona ad un dato momento, ma anche nel modo in cui egli esperisce. Ci poniamo perciò una domanda: ma qual’è la differenza prodotta dalla relazione personale, se una persona può pensare e sentire gli stessi contenuti quando è sola come quando parla con un altro?

Capita spesso che un terapeuta (o chiunque altro voglia essere d’aiuto) senta che deve “fare qualcosa”; che deve “portare qualco­sa di nuovo” nella situazione, un contenuto, un insight, in modo da essere utile ed introdurre una differenza.

Eppure, è tutta là la differenza: tra come si pensa e si sente da soli e come si pensa e si sente in presenza di un’altra persona. Il contenuto concettuale può (temporaneamente) essere lo stesso di quello che la persona pensa o vive dentro di sé; ma sarà totalmente differente il modo di esperire. Prendiamo, per esempio, il tipo d’interlocutore che interrompe la conversazione per parlare di ciò che riguarda lui, che ten­de ad essere annoiato e critico molto prima d’aver capito quello che è stato detto. Con lui, il mio modo di experiencing si restringerà abbastanza. Penserò di meno, e sentirò di meno, di quando sono solo. Avrò tendenza a parlare in modo rapido, privo di sfumature, a tenermi sulle generali. Non avrò tendenza a scendere in profondità, a sentire con intensità, con ricchezza di particolari. Alcune cose non mi verranno mai in mente con lui, o, se mi capiterà di pensarle, le terrò in serbo per quando sono so­lo, e posso sentirne il significato senza gli effetti limitativi delle sue ri­sposte. Tutti noi conosciamo la differenza tra il modo in cui è il nostro experiencing con alcune persone, confrontato con quando siamo soli.

Analogamente, ci sono altre persone (siamo fortunati a conoscerne una) con le quali proviamo con più intensità e libertà qualsiasi sentimento. Pensiamo di più, abbiamo la pazienza e la capacità di anda­re più a fondo nei particolari, sopportiamo meglio la nostra tensione in­teriore quando stiamo parlando con questa persona. Se siamo tristi e non riusciamo a piangere da soli, con questa persona piangiamo. Se ci sentiamo bloccati dal nostro senso di colpa, di vergogna, dall’ansietà, con questa persona riusciamo a vivere ancora, interiormente, come esseri che sono più di queste emozioni. Se abbiamo riversato il nostro disgusto e la pena su noi stessi, fino a diventare silenziosi e a rinchiuderci su di noi, è con questa persona che “torniamo nuovamente a vivere”. Quando raccontiamo a questa persona qualche vecchia storia familiare, già ripe­tuta più volte, le troviamo un sapore nuovo, più interessante, e non pos­siamo compenetrarla tutta per le molte sfumature di significato personale che adesso svela.

Quale spiegazione dare a queste differenze nel modo di esperire in differenti relazioni e da soli?

13 – IL MODO DELL’ EXPERIENCING

Qualunque sia il contenuto che si dice noi sperimentiamo, c’è anche il modo in cui viviamo l’esperienza. Pochi termini, nel no­stro linguaggio psicologico formale, esprimono le differenze nel modo dell’experiencing. Ci sia dunque consentito introdurre qualche termi­ne nuovo. (Questi termini si sovrappongono, così che spiegare a fondo uno di essi equivale a rendere comprensibili gli altri).

Immediatezza dell’experiencing

L’immediatezza può essere posta in contrasto con la dissociazione o con il differimento dell’affettività. Le persone solitamente inventano descrizioni poetiche per illustrare l’immediatezza e i suoi op­posti: “Faccio tutto come va fatto – ma io non mi ci metto dentro” “Sono spettatore del mio proprio comportamento” (…).

Capacità di vivere nel presente (PRESENTNESS)

Sto reagendo alla situazione attuale? Sto vivendo un adesso o la situazione attuale è una mera occasione, un suggerimento per il ri­petersi di un pattern strutturato di sentimenti?

Ricchezza e freschezza di particolari

L’esperienza di ogni momento ha una folla di freschi parti­colari, che io implicitamente esperisco, alcuni dei quali potrei simbolizzare e differenziare.  Per contro, lo schema strutturato dei sentimenti è costituito solo da poche emozioni e significati. A volte, tuttavia, non ho nulla della ricchezza del presente, solo lo stesso vecchio, trito sche­ma di sentimenti. In questi casi gli psicologi sono inclini a cogliere principalmente il contenuto del vecchio schema. Diciamo: “Questa è una reazione di protesta contro l’autorità” o “questo è un bisogno di dominare­” o un impulso sessuale infantile “parziale” come “esibizionismo” o “bisogno passivo-aggressivo”. Tendiamo a trascu­rare il fatto che tali patterns di sentimenti sono differenti anche nel modo da un processo esperienziale immediato, attuale, ricco di detta­gli. Non è soltanto che io reagisco male all’autorità. Piuttosto, rea­gisco in questo modo ad ogni persona che percepisco come un’autorità. E, ciò che è importante, reagisco a lui solo in quanto autorità, non in quanto persona, e reagisco alle svariate sfaccettature di lui e della no­stra situazione, che sono differenti da ogni altra situazione. Il “pattern autorità” o ogni pattern simile è in realtà solo un piatto schema. La mia esperienza immediata è costretta in una struttura (STRUCTURE­-BOUND) nel modo, quando sperimento solo questo vuoto schema e sen­to solo questa spoglia serie di emozioni, mancandomi la miriade di fre­schi particolari del presente (..)

Totalità congelate (FROZEN WHOLES)

Spesso parliamo di contenuti o “esperienze” come se que­sti fossero unità mobili, sagomate con la loro propria rigida struttu­ra. Ma questo è vero solo nella misura in cui la mia esperienza attua­le è legata ad una struttura nel suo modo d’essere. Per esempio, quan­do ti ascolto raccontarmi qualcosa dei tuoi sentimenti, posso di quando in quando pensare alle mie esperienze personali. Ho bisogno dei senti­menti e dei significati delle mie proprie esperienze per capire le tue. Se devo tuttavia continuare a pensare alle mie esperienze esplicitamen­te in quanto tali, non posso poi cogliere quale significato hanno le tue esperienze per te. Insisterò quindi che le tue esperienze sono ugua­li alle mie (o, se sono saggio, saprò che non sto comprendendoti). A meno che le mie esperienze funzionino implicitamente così che io possa di nuovo capirti, davvero non sono affatto in grado di capirti. Finché la mia esperienza, è costretta in una struttura, essa non funziona implicitamente. Non è vissuta da me “senza cuciture”, con i suoi mille aspetti impliciti che funzionano in modo che io arrivi ad un significato fresco, qualcosa che tu stai cercando di comunicarmi. Piuttosto, a questo proposito la mia esperienza è una “totalità congelata” e non perderà la sua struttura. Qualunque cosa richieda la fun­zione implicita dell’experiencing in questi aspetti mi fa vivere la mia struttura del tutto congelata e nulla di nuovo.

Ciò che è caratterizzato dalla ripetitività contro ciò che è modificabile (REPETITIVE VERSUS MODIFIABLE)

Poiché all’interno della spoglia, strutturata totalità conge­lata l’experiencing non funziona in interazione con i dettagli attuali, la struttura non è modificata dal presente. Per cui rimane la stessa, si ripete in molte situazioni senza mai andare cambiando. Finché il modo dell’esperienza rimane legato ad una struttura le strutture stes­se non sono modificabili dagli eventi in corso.

Funzionamento ottimale implicito

E’ chiaro da quanto sopra che, nella misura in cui il modo dell’experiencing è legato ad una struttura, il funzionamento implicito dell’experiencing non può verificarsi. Invece dei molteplici significa­ti impliciti dell’esperienza, che devono interagire con il dettaglio at­tuale perché l’individuo interpreti e reagisca, la persona ha uno sche­ma di sentimenti strutturato.

Questi termini definiscono il modo dell’experiencing.

14 – PROCESSO IN CORSO CONTRO COSTRIZIONE ENTRO STRUTTURE (IN PROCESS VERSUS STRUCTURE BOUND)

L’experiencing è sempre in corso e sempre funziona implicitamente. ­Gli aspetti in cui esso è legato ad una struttura non sono experiencing. Il contenuto concettuale può sembrare in astratto rimanere uguale nei differenti modi dell’experiencing. Nel modo legato ad una struttura tuttavia il processo dell’experiencing è, negli aspetti considerati, mancante. Per “mancante” intendiamo che da un punto di vista esterno notiamo che il funzionamento implicito dell’experiencing dovrebbe esserci, invece c’è solo la struttura che salta il processo, e l’experiencing circonda questa e le serve da introduzio­ne. Diciamo quindi che gli aspetti legati ad una struttura non sono in processo.

15 – ATTIVITA’ Dl RICOSTITUZIONE (RECONSTITUTING)

Abbiano detto prima che simboli o eventi possono far pro­gredire il processo dell’esperienza. L’experiencing è essenzialmente un’interazione tra sentimenti e “simboli” (attenzione, parole, eventi), proprio come la vita corporea è un’interazione tra corpo e ambiente. Nella sua natura fondamentale, il processo della vita corporea è interazione. Esso richiede non solo l’apparato respiratorio del corpo ma anche l’ossigeno e lo stesso apparato respiratorio è costituito da cellule che ancora sono processi chimici che comportano ossigeno e parti­celle alimentari.  Se applichiamo questo modello concettuale di processo d’interazione all’esperienza vissuta, possiamo considerare questa un’interazione di sentimenti e di eventi (dove “eventi” include suoni verbali, comportamento degli altri, avvenimenti esterni, qualunque cosa possa interagire con i sentimenti).

Se formuliamo la teoria dell’experiencing in questo modo, possiamo esprimere perché le risposte di un’altra persona incidano così radicalmente sul modo dell’esperienza immediata dell’individuo(14). Perché, se c’è una risposta, ci sarà un processo d’interazione in corso. Alcuni aspetti della personalità saranno in processo. Tuttavia, senza la risposta, non ci sarà (in quegli aspetti) affatto un processo.

In modo soggettivo e fenomenologico, le persone descri­vono questo come “vitalizzarsi interiormente” o come “venire a sen­tire molte maggiori sfumature” di se stesse. Le risposte possono ri­costituire il processo dell’esperienza in aspetti nei quali, prima della risposta, non c’era processo (non c’era interazione tra sentimenti e qualcosa d’altro e quindi non c’era processo d’interazione in corso).

La condizione peculiare di “esperienza” che non è in processo ha confuso la psicologia per molti anni. E’ stata chiamata “inconscio” (15), “rimosso”, “nascosto”, “inibito”, “denegato”, etc. Il fatto è che osserviamo persone che sentono consapevolmente ed attivamente (in modi che prima mancavano) quando si risponde loro in certa maniera. La persona avverte che i sentimenti “sono sempre stati là in certo qual senso, ma non erano vissuti”. La psicologia non può smentire questa comune osservazione.  Un modo di formularla è come attività di ricostituzione del processo d’esperienza.

16 – I CONTENUTI SONO ASPETTI DEL PROCESSO

Che cosa è un “contenuto” d’esperienza (o “un’esperienza”, quando si intenda con ciò riferirsi ad un dato contenuto)? Abbiamo osservato (definizioni 3 e 5) che i significati emozionali impliciti dell’esperienza immediata possono essere posti in interazione con simboli verbali. Diciamo quindi che i simboli “significano”, o “rappresentano” l’e­sperienza “di” (qualcosa) o, più semplicemente, che i simboli simbolizzano l’esperienza. Un’unità simbolizzata di questo tipo è un contenuto (16).

Perciò, perché vi sia un contenuto, qualche aspetto di fun­zione implicita (vedi definizione 4) deve svolgersi in interazione con sim­boli.

Ma cosa accade se non c’ e ancora nessun simbolo verbale?

Non c’è allora neppure esperienza immediata in corso? La risposta è che i simboli verbali non sono i soli eventi con i quali i sentimenti possono essere in un processo d’interazione. Evenienze esterne, risposte di altre persone, perfino la nostra propria attenzione, possono interagire con i sentimenti così da costituire un processo.

Dunque, spesso avviene che vi sia un processo d’esperienza in ­corso senza simboli verbali. In effetti, la maggior parte di situa­zioni e di comportamenti implica sentimenti di interazione con eventi non-verbali. L’esperienza immediata funziona implicitamente con innu­merevoli significati che, in quanto vissuti (senza simbolizzazione ver­bale) sono aspetti dell’interazione in corso.

Gli aspetti nei quali l’esperienza immediata è in corso sono anche quelli in cui possiamo simbolizzare verbalmente i contenuti. Gli aspetti nei quali essa non è in corso (non importa come possa apparire all’esterno) non possono essere verbalmente simbolizzati. Solo signi­ficati scialbi, inutili, generici possono esser dati a concetti dei suppo­sti contenuti, i quali non sono in quell’istante aspetti di processo. I contenuti sono aspetti del processo vissuto in corso. I contenuti sono cioè aspetti di processo.

17 – LA LEGGE Dl RICOSTITUZIONE DEL PROCESSO D’ESPERIENZA

Una persona può simbolizzare solo quegli aspetti che sono già implicitamente funzionanti nel processo d’esperienza in corso. In ogni experiencing (cioè, in ogni interazione in corso di sentimenti ed eventi) un gran numero di significati impliciti sono aspetti di processo (cosiddetti “contenuti”). Perciò, per l’esperienza di ogni momento in corso si possono simbolizzare numerosissimi contenuti. Essi sono incompleti (definizione 5) finché alcuni simboli (o eventi) fanno progredire il processo in questi aspetti.

Ci sono quindi due differenti definizioni: far progredire e ricostituire. “Far progredire” significa che simboli (o eventi) ven­gono ad interagire con aspetti già implicitamente funzionanti dell’espe­rienza in corso. “Ricostruire” significa che il processo si è messo in movimento e funziona implicitamente in aspetti in cui precedentemente non si svolgeva.

Possiamo ora enunciare una legge della ricostituzione del processo d’esperienza: Quando certi aspetti implicitamente funzionanti dell’experiencing sono spinti avanti da simboli o eventi, l’experiencing risultante coinvolge sempre altri aspetti, talvolta ricostituiti di nuovo, che vengono quindi ad essere in processo, e funzionano implicitamente in quell’experiencing.

18 – GERARCHIA DEGLI ASPETTI DI PROCESSO

Se i contenuti sono considerati come aspetti di processo – cioè, come aspetti implicitamente funzionanti dell’ esperienza immediata in corso – la legge di ricostituzione implica allora che certi contenuti (aspetti di processo) debbono esser simbolizzati prima che certi altri contenuti (aspetti di processo) possano diventare aspetti di processo in grado d’esser simbolizzati.

­Questo fatto dà all’autoesplorazione della persona un carat­tere ordinato o gerarchico. E’ come se egli potesse “arrivare a” certe cose solo tramite altre. Dobbiamo lasciarlo lavorare per conto suo, non perché crediamo nella democrazia, non perché ci piace la fiducia in se stessi, ma perché solo quando il processo d’esperienza è stato ricostituito, così che certi aspetti divengano impliciti in esso, egli può simbolizzarli.

19 – SELF-PROCESS

Nella misura in cui l’experiencing funziona implicitamente, la persona può rispondere a se stessa e può portare avanti il proprio experiencing. Questa interazione dei sentimenti della persona con il suo comportamento (simbolico o attuale) (17) lo chiamiamo “sé”. Un termine più esatto: self- process.

Nella misura in cui l’esperienza attuale non funziona impli­citamente, la persona non può rispondere a se stessa e portare avanti la propria esperienza. In qualunque aspetto l’experiencing non funzioni (è legato ad una struttura), le risposte hanno un’importanza primaria nel ricostituire il processo d’interazione dell’experiencing in tali aspetti.

Come mai, la persona non porta avanti da se stessa la pro­pria esperienza attuale, già implicitamente funzionante, in modi che pos­sano ricostituire gli aspetti di questa legati ad una struttura? Natural­mente, egli non può rispondere agli aspetti legati ad una struttura in quanto tali (essi non sono implicitamente funzionanti), ma neppure può farlo lo psicoterapeuta. Si può definire la risposta psicoterapeutica come quella  che risponde ad aspetti dell’ experiencing che sono implicitamente funzionanti, ma ai quali la persona tende a non rispondere da sé. Più precisamente la sua propria risposta è, in questi aspetti, una struttura totalmente congelata, che non fa progredire il processo d’esperienza.

20 – LA RISPOSTA CHE RICOSTITUISCE E’ IMPLICITAMENTE INDICATA

La risposta che ricostituirà il processo d’esperienza (in qualche nuovo aspetto legato ad una struttura) è già implicata (18) nel­l’experiencing della persona. Si deve rispondere all’experiencing  funzionante, non alla struttura. In pratica questo significa che si de­ve prendere per il suo valore nominale e dare una risposta personale all’aspetto funzionante della persona.  Nessuno è grandemente cambiato da risposte e analisi sul modo in cui non funziona (anche se spesso siamo tentati di agire in questo senso). Constatiamo che il comporta­mento di una persona al lavoro contrasta alla radice, in realtà, il suo desiderio di lavorare, che il suo comportamento sessuale allontana le occasioni di autentica sessualità, che ti suo desiderio di piacere infa­stidisce gli altri, che la sua ricerca di contatti sociali fa fuggire la gente, che il suo modo di esprimersi e di parlare di se stesso è drammatizzata e vuota. Eppure sono queste strutture le risposte al suo desiderio, effettivamente in azione, di lavorare, di realizzare la sua sessualità, di avvicinare ed entrare in contatto con la gente, di esprimersi. E’ soltanto nella misura in cui reagiamo a questi aspetti, effettivamente funzionanti, del suo experiencing (nonostante il carat­tere evidentemente contraddittorio del suo comportamento e delle sue risposte simboliche) che potremo far progredire quello che è ora pre­sente, e che potremo ricostituire il processo là dove la persona stessa ha risposto soltanto (simbolicamente ed  effettivamente) con la struttura.

21 – SUPREMAZIA DEL PROCESSO

Tendiamo a trascurare il fatto che i contenuti sono aspet­ti di processo. Concentriamo la nostra attenzione sui contenuti in quanto significati simbolizzati con implicazioni logiche specifiche (che pure hanno). Dunque discutiamo spesso dell’esplorazione personale co­me se fosse puramente un’indagine logica alla ricerca di risposte con­cettuali. In psicoterapia tuttavia (come anche nella propria esplora­zione interiore privata) i contenuti logici e gli insights sono seconda­ri. Il processo ha la preminenza. Dobbiamo prestare attenzione e simbolizzare onde far progredire il processo e quindi ricostituirlo in certi nuovi aspetti. Solo allora, quando nuovi contenuti cominciano a funzionare implicitamente nel vissuto, possiamo simbolizzarli.

Nella definizione 9 abbiamo osservato che il “dispiegarsi” può manifestarsi come una sensazione del tipo “ora l’ho afferrato”, proprio senza simbolizzazione. Questa è un’esperienza diretta dell’attività di ricostituzione. Si avverte che il processo è in corso in aspet­ti nuovamente ricostituiti. La ricostituzione si verifica quando ven­gono simbolizzati significati che precedentemente erano già stati im­pliciti. Nel far progredire questi significati impliciti si ha un coin­volgimento del più ampio processo che ricostituisce i nuovi aspetti.

In psicoterapia, dunque, non si tratta di calcolare prima quello che non va in una persona e come questa deve cambiare e poi, in qualche modo, la persona cambia. Piuttosto, l’esperienza immediata della persona con noi è già sostanzialmente differente con noi rispetto a prima. Da questa differenza nell’experiencing nasce la soluzione al suo problema. Il cambiamento si sta già manifestando mentre egli parla. Le nostre risposte (in quanto simboli verbali e in quanto eventi) interagiscono con, e fanno progredire il suo experiencing. I nostri ge­sti e attitudini, il solo fatto che egli sta parlando a noi, le differenze che in ogni momento egli provoca in noi tutto ciò interagisce concretamente con ciò che funziona implicitamente in lui, la sua esperienza vissuta. Concettualmente, può sembrare una vana enunciazione e ri­petizione di problemi. Oppure, concettualmente, possiamo arrivare alle cause e ai fattori che sono alla base dei suoi problemi, il modo in cui la persona dovrebbe cambiare, le ragioni e le carenze che gli impe­discono di cambiare in tal modo, ma non si raggiunge alcuna soluzione autentica concettualmente. L’indagine concettuale finisce per stringersi nelle spalle ed affibbiare qualche biasimevole etichetta alla persona che, per cattiva volontà o per costituzione, viene detta mancante di que­sti o quegli elementi essenziali. Eppure, date certe risposte interper­sonali, egli è già diverso.

Per supremazia del processo sul contenuto concettuale, intendiamo questo fatto: (19) Il processo d’esperienza attualmente in corso dev’essere spinto avanti concretamente. Attraverso ciò, esso viene ricostituito in molti aspetti, reso più immediato nel suo mo­do d’esperienza, più ricco in dettagli differenziabili. Da ciò, hanno origine nuovi aspetti di processo (contenuti), “soluzioni”, e modifica­zioni di personalità. Molto spesso queste soluzioni sembrano terri­bilmente semplici (20) concettualmente (vedi definizione 9), e non pos­sono assolutamente essere il motivo del cambiamento. Piuttosto, sono rozze concettualizzazioni di alcuni aspetti di un processo largamente differente.

22 – UNITA’ DEL PROCESSO

C’è un unico processo che comprende tutti i seguenti: ambiente, vita corporea, sentimenti, significati conoscitivi, relazioni interpersonali e sé. Il processo che concreta­mente si verifica è uno solo, anche se noi possiamo isolare e dare rilievo a questi suoi vari aspetti. Il nostro “linguaggio concreto” (THING LANGUAGE) tende a presentare qualunque argomento di discussione come un oggetto separabile nello spazio. In tal modo se­pariamo artificialmente ambiente, corpo, sentimenti, significati, le altre persone e il sé (21). Quando questi sono discussi come ogget­ti separabili, le loro ovvie correlazioni divengono imbarazzanti: Come possono i sentimenti essere coinvolti in malattie del corpo (psicosomatiche)? Come può il processo conoscitivo esser influenzato da esigenze sentite? Come può dall’espressione interpersonale derivare un cambiamento nel sé? Ad ogni giuntura, la considerazione di questi fenomeni come “oggetti separati” costruisce tali enigmi nel­le nostre discussioni. Possiamo invece impiegare uno schema di ri­ferimento che consideri l’unico processo che concretamente interviene. Voglio denominare unità di processo il modo in cui un solo, concreto processo è essenziale a questi diversi aspetti. Abbiamo cercato di mostrare che l’attività del sentire è una faccenda corporea, un aspetto di processo fisiologico. Ab­biamo dimostrato che i significati conoscitivi consistono non solo di simboli verbali o pittorici, ma anche di un senso emozionale che è implicitamente significativo, e che deve funzionare in interazione con simboli. Le risposte interpersonali (come altri tipi dl eventi) possono interagire con l’attività del sentire e portare avanti il pro­cesso concreto. Ora cercheremo di mostrare che il sé (le risposte della persona al proprio experiencing implicitamente funzionante) è anche un aspetto del processo singolo, concretamente vissuto, con­tinuo con il corpo, con i sentimenti, i significati, e le relazioni interpersonali.

23 – SELF-PROCESS E SUA CONTINUITA’ INTERPERSONAlE

Nel corso di questa discussione ci siamo occupati del solo processo d’interazione che concretamente si verifica tra sen­timenti ed eventi. Gli eventi interpersonali hanno luogo prima che ci sia un sé. Gli altri ci rispondono prima che noi arriviamo a rispondere a noi stessi. Se queste risposte non fossero in interazione con i sentimenti – se non fossero che le risposte di altre persone e basta – il sé non potrebbe divenire altro che le risposte apprese dagli altri. Ma le risposte interpersonali non sono semplicemente eventi esterni. Sono eventi in interazione con i sentimenti di una persona. L’individuo sviluppa allora la capacità di rispondere ai propri sentimenti. Il sé è più di un repertorio di risposte apprese, è anche un processo di risposta ai sentimenti (…).

Il cambiamento di personalità non è il risultato del no­stro percepire la valutazione positiva o l’attitudine di un altro ver­so di noi. E’ vero che è improbabile che attitudini di rifiuto a nostro riguardo facciano progredire i nostri significati impliciti. Tut­tavia questo non deriva dalla valutazione negativa in se stessa, ma dal fatto che un rifiuto abitualmente ignora il significato implicito dei miei sentimenti. Rifiutare equivale ad allontanarsi o a respingere. Per contro, la “considerazione positiva incondizionata” di qualcuno verso di noi non è soltanto una valutazione o un’attitudine. Egli ri­sponde e fa progredire con le sue risposte il processo concreto in corso.

Dobbiamo quindi riformulare il punto di vista di Rogers (1959) secondo il quale la modificazione di personalità dipende dalla percezione­ da parte del cliente dell’attitudine del terapeuta. La presente teoria implica che il cliente può o meno percepire correttamente le attitudini del terapeuta. Il cliente può essere convinto che il terapeuta deve detestarlo e non può assolutamente capirlo. Non tali percezio­ni, ma il modo del processo che sta svolgendosi attualmente, deciderà se la modificazione di personalità avrà luogo. In molti casi il cliente può percepire le attitudini positive del terapeuta solo dopo che il con­creto processo di modificazione di personalità ha già avuto luogo.

Il fattore determinante per il cambiamento non è la percezione di un contenuto, di una valutazione di un’attitudine, considerate separatamente dal processo concreto.

La modificazione di personalità è la differenza prodotta dalle tue risposte nel far progredire la mia concreta esperienza attua­le. Per essere me stesso, ho bisogno delle tue risposte, nella misura in cui le mie risposte non riescono a far progredire i miei sentimenti. A questo riguardo, io sono “veramente me stesso” solo quando sono con te.

Per qualche tempo, l’individuo può raggiungere la pienezza di questo SELF-PROCESS solo all’interno di questa relazione (22).

Questa non è “dipendenza”. Questa relazione non dovrebbe ricondurre la persona indietro, ma al contrario condurla a reazioni più complete e più profonde, che abbiano l’effetto di far progredire l’experiencing che, per il momento, la persona dice di vivere “solo qui”.

Il continuo far progredire all’interno di un processo d’interazione in corso è necessario per ricostituire l’esperienza vissuta, abbastanza a lungo da procurare alla persona stessa la capacità di farla progredire come self-process.

RIFORMULAZIONE DELLE DEFINIZIONI DI RIMOZIONE E DI CONTENUTO

24 – L’INCONSCIO COME PROCESSO INCOMPLETO

Quando si dice che l’”io” o il “sistema del sé” “escludono” alcune esperienze dalla coscienza, si asserisce di solito che tali esperienze esistono nondimeno “nell’inconscio” o “nell’organismo”. La nostra discussione, tuttavia, ci porta alla conclusione che non è così. Qualcosa esiste, certamente, ma non sono le esperienze quali sarebbero state se si fossero svolte in modo ottimale. Piuttosto, ciò che esiste è una condizione emozionale e fisiologica, che risulta quando, in qualche aspetto, il processo d’interazione corporeo è bloccato, cioè, non si sta verificando. Di che tipo di condizione si tratta?

Abbiamo mostrato come, per la disfunzione risultante, qualcosa sarà “mancante”, ma non dovremmo situare ciò che è mancante nell’inconscio (non più di quanto dovremmo situare l’atto del mangiare nell’inconscio quando qualcuno è affamato) (…).

Quando diciamo che certe esperienze, percezioni, motivi, sentimenti, etc. “mancano” alla nostra coscienza, non è che essi esistano “al di sotto” della coscienza (in qualche posto là sotto, nel corpo o nell’inconscio). C’è piuttosto un’interazione e un experiencing ridotti o bloccati sotto qualche aspetto. Il modo di experiencing che abbiamo descritto è uno in cui, in gran parte degli aspetti, l’experiencing e il processo di vita corporea non è “completato” o non si svolge pienamente.

Questo significa dunque che non esiste “inconscio”? solo quello di cui siamo consapevoli esiste? Porre la questione in questo troppo semplice modo elude osservazioni importanti. La presente teoria dev’essere capace di spiegare queste osservazioni (23). Ci accingiamo perciò a riformulare alla base la teoria dell’ inconscio, piuttosto che respingerla semplicemente.

L’inconscio viene ridefinito come un processo incompleto. Dal momento che non c’è netta distinzione tra il far progredire ciò che è implicitamente vissuto e il ricostituire l’experiencing in aspetti precedentemente bloccati (il primo implicherà il secondo), (24) il dato emozionale che è qui, in un senso contiene qualsiasi cosa. In quale senso? Nel senso che, se al dato emozionale vengono date rispo­ste che lo fanno pienamente progredire, qualsiasi cosa sarà qui come aspetto di un processo in corso.

In pratica la regola è: “Non ha importanza quello che non viene sentito. Rispondi a ciò che si sta sentendo”

25 –  MODALITA’ DI EXPERIENCING ESTREMAMENTE LIMITATE DALLA STRUTTURA (PSICOSI, SOGNI, IPNOSI, CO2, LSD, DEPRIVAZIONE SENSORIALE)

Siamo andati discutendo finora del funzionamento vissuto, implicito del processo d’interazione che definiamo “experiencing”. Abbiamo posto in risalto come ogni adeguato comportamento ed interpretazione della situazione attuale dipendano da questo funzionamento vissuto. Esso costituisce le migliaia di significati e le esperienze pas­sate che determinano un comportamento adeguato adesso. Inoltre, è a questo funzionamento emozionale che possiamo rispondere noi stessi, e questo è il self-process. Il funzionamento di cui sto discutendo è ­emozionale (Felt), intendendo con ciò che possiamo far riferimento ad esso noi stessi. Per esempio, mentre leggiamo questa pagina, le parole so­no per noi immagini sonore. Queste immagini sonore sono tutto ciò che abbiamo esplicitamente in mente. Ma abbiamo anche i significati delle immagini sonore. Come? Noi non ci diciamo che cosa tutto questo si­gnifica. Noi sentiamo il significato di quel che leggiamo via via che andiamo avanti. Il significato funziona implicitamente. Questo processo del sentire (Feeling Process) è un’interazione tra i simboli sulla pagina e il nostro modo di sentire.  Questo processo emozionale d’interazione è ora in corso, e ci fornisce sentimenti e significati adeguati.

Quando il processo d’interazione è fortemente ridotto (come nel sonno, ipnosi, psicosi ed esperimenti d’isolamento) l’esperienza at­tuale interiormente vissuta è quindi diminuita. La persona allora manca della funzione implicita dell’esperienza vissuta e perde sia il suo senso del “sé” che la sua capacità di rispondere ed interpretare in modo adegua­to avvenimenti in corso. L’uno e l’altra richiedono il processo emozionale appena descritto.

I fenomeni peculiari che avvengono in queste circostanze sono un po’ più comprensibili quando vengono considerati in termini di riduzio­ne o interruzione del processo d’interazione e della funzione implicita dell’esperienza vissuta.

Vorrei ora stabilire alcune caratteristiche di questa modalità (allucinatoria o onirica) di experiencing, estremamente limitata dalla struttura.

Le strutture sono percepite come tali

Di solito le esperienze e gli apprendimenti passati funzio­nano implicitamente nell’esperienza vissuta, in modo che venga interpretato e percepito il presente, non le esperienze passate in se stesse. Eppure sotto ipnosi, nei sogni e nelle allucinazioni, è possibile percepire strutture rigide ed avvenimenti passati in quanto tali. In modo ti­pico, non possediamo allora gli aspetti pertinenti al processo emoziona­le che solitamente funzionano. Perciò allucinazioni e sogni non sono comprensibili ad una persona presente a se stessa (To The Present In­dividual). Egli è da questi confuso e atterrito. Spesso essi “non gli sembrano suoi”. L’esperienza vissuta che gli avrebbe dato il senso del loro essere “suoi” e gli avrebbe consentito di conoscere il loro significato, non è in corso. Sogni e allucinazioni sono per così dire parti scomposte dl quello che altrimenti sarebbe stato un processo emozionale in funzione. Questo processo d’interazione con il presente non è in cor­so, e quindi i significati emozionali non sono in funzione.

Vediamo ora, attraverso questi diversi tipi di circostanze, come in ognuna prima il processo d’interazione sia ridotto, poi venga a mancare la funzione dell’esperienza vissuta.

Modalità estremamente limitate dalla struttura ricorrono ogni volta che il processo d’interazione è fortemente ridotto.

Sogni, ipnosi, psicosi, CO2 e LSD, deprivazione sensoriale hanno in comune almeno un elemento, la riduzione dell’interazione in cor­so.

Nel sonno c’ è una grande riduzione di stimolazioni esterne. I sogni avvengono con questa riduzione del processo d’in­terazione usualmente in corso con l’ambiente.

Anche nell’ipnosi il soggetto deve escludere l’interazio­ne con gli stimoli del momento e interrompere la propria rispondenza a se stesso. Deve concentrarsi su un punto.

­La psicosi, come è stato spesso notato (per esempio, Shlien, 1960), coinvolge entrambi nella sua genesi e più tardi, un “isolamento”, una riduzione d’interazione tra sentimenti ed eventi. Anche l’isolamento fisico dagli altri può in qualche persona condurre ad allucinazioni.

Alcuni veleni (CO2, LSD) ostacolano il processo d’inte­razione fisiologica della vita corporea.  CO2 riduce (ed eventualmente sospende) il processo respiratorio.

Esperimenti in cui le persone sono poste in ambienti a prova di suono e di luce e che impediscono anche la stimolazione tattile si risolvono (dopo poche ore) in allucinazioni psicotiche.

La peculiare analogia di esperienze che provengono da queste situazioni così differenti suggerisce qualcosa di simile. Tutte han­no almeno un elemento in comune: la riduzione del processo d’intera­zione in corso che, essendo vissuto, è experiencing. Ci aspetteremo dunque una mancanza del funzionamento implicito che l’experiencing in corso solitamente procura.

Infatti questo è ciò che hanno in comune i fenomeni che si verificano in tutte queste circostanze. Il carattere peculiare di questi fenomeni è comprensibile come una rigidità o mancanza del funzionamen­to emozionale che solitamente interpreta per noi ogni situazione at­tuale, e al quale noi rispondiamo nel self-process, Perciò vengono perdute l’interpretazione adeguata delle situazioni e il senso del sé.

Mancanza di funzione implicita
Questa funzione implicita (vedi definizione 4) dell’esperienza vissuta diventa rigida (non in processo) o “letterale” in tutte queste condizioni (…). ­Molto di ciò che è stato chiamato “processo primario”, “pensiero schizofrenico” o l’incapacità dello schizofrenico ad “astrarre” il pensiero “concreto”, quel suo “prender parte per il tutto” (Goodstein, 1954), in realtà consiste in questa modalità rigida e let­terale in cui l’experiencing funziona. Come nei sogni e nell’ipnosi, il processo emozionale dell’experiencing è ridotto e non fornisce affatto il suo funzionamento implicito.
I numerosi significati emozionali impliciti che sono necessari per adeguate interpretazioni e reazioni non funzionano, dal momento che il processo emozionale (del quale tali significati sono aspetti di processo) non si svolge. Questo è esattamente ciò che significa “let­terale”: la mancanza di funzionamento di altri significati che dovreb­bero guidare la nostra interpretazione di una data serie di parole o di eventi.

“Perdita del sé”
Un’altra caratteristica condivisa da sogni, ipnosi, psicosi e dai fenomeni ottenuti con la deprivazione sensoriale e LSD, è la perdita del senso di sé. Nei sogni, ciò che percepiamo è al di là del controllo, interpretazione, possesso del sé (o ego). Nell’ipnosi una persona accetta specificatamente i suggerimenti di un altro per se stesso, e permette loro di sostituire totalmente la sua attitudine a rispondersi. Nella psicosi il paziente si lamenta così spesso: “Non ho fatto io questo. Qualcosa me l’ha fatto fare” o “ Non sono me stesso” o “ Queste voci non sono la mia” (…).
Questa perdita del sé è dovuta alla mancanza del funzionamento emozionale dell’experiencing. Proprio come avvenimenti esterni (a seconda del grado di psicosi) non sono interpretati e non entrano in interazione in base all’experiencing, così anche l’experiencing manca di “self-responses”.
Abbiamo definito il sé come “self-process”. Il sé esiste nella misura in cui la persona può far progredire il proprio processo emozionale attraverso i propri simboli, comportamenti e attenzione (…).
Quando il processo d’interazione è fortemente ridotto, non solo intervengono esperienze psicotico-simili, ma si perde il senso di “sé”. Il processo emozionale al quale può esser data una self-response diventa statico e la persona ha percezioni che non riconosce.

Modalità statica, ripetitiva, non modificabile
Finché la funzione implicita dell’experiencing è rigida, non c’è modo per le situazioni del momento di interagire con esso, e di modificarlo così che diventi un’interpretazione della situazione attuale. Invece noi percepiamo un pattern ripetitivo che non è modificato dalla situazione attuale (…).

Universalità dei “contenuti” psicotici
Esperienze che si svolgono nella modalità estremamente limitata dalla struttura non sono aspetti di processo. Esse si verifi­cano precisamente nella misura in cui il processo emozionale non è in corso. E’ sorprendente come certi temi ricorrano universalmente – di solito i familiari temi “orale, anale, genitale”. Sembra che questa sia la sostanza di cui tutti siamo fatti … e in cui il processo che solitamente è in corso si scompone, nella misura in cui non si svolge.

Le esperienze psicotiche non sono “il rimosso”
E’ erroneo considerare queste manifestazioni limitate dalla struttura come esperienze rimosse, che ora sono “emerse” o “esplose” (…). In condizioni ottimali, queste universali esperienze passate funzionano implicitamente nell’experiencing. Quando questo processo in corso s’interrompe, modalità statiche decomposte occupano il centro del sensorio. ­
Ci si può accorgere delle implicazioni di questa riformulazione da quanto segue. La “psicosi”, da questo punto di vista, non è questi contenuti che si suppongono sottostanti (in tal senso ognuno è “psicotico”).  Piuttosto, la “psicosi” è la riduzione o la sospensione del processo d’interazione tra sentimenti ed eventi. Quando, perciò, etichet­tiamo una persona “psicotico-borderline” questo non significa che giacciano in lui del contenuti pericolosi. Piuttosto, egli è “isolato”, “non coinvolto”, “non abbastanza là”, “rinchiuso in se stesso” o “non in con­tatto con se stesso”; cioè, la sua modalità d’experiencing è fortemente limitata dalla struttura. Per impedire alla “psicosi” di verificarsi, si deve rispondere, per quanto è possibile, a questi sentimenti così come essi implicitamente funzionano, in modo da far progredire e ricostituire l’interazione in corso e l’ experiencing.
La considerazione di “contenuti psicotici latenti” condu­ce a due pericolosi errori: o si decide che è meglio ignorare i sen­timenti di difficoltà e di pena di una persona (per paura che essi “si mutino in” psicosi conclamata), o si “interpretano” e si “tirano fuori a fatica” questi sentimenti. Entrambe le decisioni negano e respingo­no l’interazione personale e i sentimenti della persona implicitamente funzionanti. Entram
e le decisioni sfoceranno nella psicosi, esse implicano la stessa errata concezione, che si verifica da sé, che i “con­tenuti” sono psicotici.
Non c’è nulla di “psicotico” relativo ad alcun “contenuto sottostante”. Ciò che è psicotico è la modalità limitata dalla struttura dell’experiencing, l’assenza o la rigidità letterale dell’experiencing e dell’interazione.
Comunque, o “borderline” o apparentemente “perduta”, una persona “risusciterà” se l’interazione e l’experiencing (25) sono ricostitui­ti da risposte personali che spingono avanti ciò che ancora funziona. (26)

26 – CAMBIAMENTO DI CONTENUTO

Quando i significati emozionali implicitamente funzionanti sono spinti avanti e il processo è ricostituito e reso più immediato nel modo, c’è un costante cambiamento nel “contenuto”.  Quando avviene il movimento del referente, cambiano sia la simbolizzazione che il referente diretto. C’è una sequenza di successivi “contenuti”. Si dice tal­volta che questi successivi contenuti “emergono”, come se ci fossero sempre stati, o come se ora finalmente venisse svelato il contenuto di base finale. Io preferisco chiamare questo cambiamento di contenuto. Non è solo un cambiamento nel modo in cui una persona interpreta ma, piuttosto un cambiamento sia nei sentimenti che nei simboli. I conte­nuti cambiano perché il processo sta venendo ad essere nuovamente completato e ricostituito dalle risposte. Ciò che i contenuti saranno dipen­de molto dalle risposte (…). Il cambiamento di contenuto può avvenire in pochi minuti o durante mesi. Può verificarsi con poche parole e simboli, o in un linguaggio socialmente accettabile, o con parole bizzarre ed incoerenti, o in silenzio. Il punto che sto tentando di rendere è che il contenuto cambia quando si risponde a, e perciò si fa progredire e si ricostituisce, un processo d’interazione (…).

I contenuti sono aspetti del processo dei sentimenti in corso. Essi possono esser simbolizzati perché funzionano implicitamente in quel processo. Quando esso viene spinto avanti, c’è un movimento di referente e un cambiamento in ciò che può esser simbolizzato. Questo non è puro avvicendarsi d’interpretazioni. C’è movimento di referente, cioè sta cambiando quello che è in corso di simbolizzazione.

Il cambiamento di contenuto non significa che tutti i nostri concetti siano semplicemente inapplicabili. Spesso essi sono giusti in termini di previsione di altri comportamenti della persona, e spesso ci consentono d’individuare o di essere pronti ad un prossimo cambiamento di contenuto. Tuttavia, i concetti di contenuto di personalità sono stati­ci e di gran lunga troppo generici (27) e vuoti. Essi non sono mai un so­stituto per il riferimento diretto, il movimento del referente, e il cambiamento di contenuto.

NOTE

(1) La tendenza a considerare nel cambiamento in corso solo i contenuti statistici ­che questo rivela, si nota anche confrontando la quantità dei progetti di ricerca in psicoterapia e in ambiente ospedaliero, di­retti allo studio diagnostico e di classificazione, con la reale caren­za di ricerche che abbiano utilizzato la messa a punto di queste tera­pie per studiare il cambiamento. I nostri strumenti psicometrici non hanno ancora unificato e neppure definito gli indici di modificazione della personalità, essendo questi usati così poco prima e dopo la psicoterapia. E’ questo un ulteriore esempio di come tendiamo a pensare per lo più in termini di personalità resistenti al cambiamento, per­fino in una situazione terapeutica.

  1. Il paradigma rimozione, nella sua estrema esemplificazione, si nota nella pratica quando A insiste che B ha qualche contenuto di cui non può rendersi conto perché è “inconscio”. Le esperienze e il vissuto propri di B sono per definizione totalmente tagliati fuori.

Nessuna via esiste, per giungere a tale supposto contenuto, che B possa utilizzare.

  1. S.Freud, 1914 (p.375), 1920 (pp. 16-19), 1930 (p.105). H.S.Sullivan, 1940 (pp.20-21), 205-207), 1953 (pp.42, 160-163). C.R.Rogers, 1957, 1958, 1959 a e b, 1960, 1961 a e b, 1962.

  2. Il termine “correttamente” si riferisce qui proprio a questa intera­zione tra il referente vissuto e i simboli, che stiamo descrivendo. Il fatto che, pochi minuti dopo, lo stesso tipo d’interazione con nuovi sim­boli possa produrre ancora un’altra concettualizzazione, molto differente ma anche adesso “corretta”, dimostra che “correttezza” non im­plica che una data serie di simboli significhi ciò che il referente da so­lo significa.  Piuttosto, “correttezza” si riferisce all’effetto esperito che alcuni simboli producono e che è descritto sopra, e nelle definizio­ni 5 e 6.

1) EMOZIONI ASSOLUTE

Le emozioni di colpa, vergogna, imbarazzo, il sentirsi “cattivo” riguardano me o questo aspetto della mia esperienza e il suo significato per me – non sono in se stesse quell’esperienza e quel significato.

Le emozioni in quanto tali non sono un riferimento diretto all’esperienza vissuta. Devo, almeno per un momento, passare attraverso que­ste emozioni relative a ciò (o relative a me stesso) per riferirmi direttamente a quello che tutto ciò significa per me, perché e che cosa mi ha fatto provare vergogna (…)

2) ZONA D’ INFLUENZA DELLE CIRCOSTANZE (CIRCUMSTANTIAL ORBIT)

Proprio come ci si può smarrire nelle emozioni assolute di colpa, vergogna, cattiveria, così ci si può perdere in una recitazione interiore di circostanze, come: che cosa uno dovrebbe aver fatto o ha proprio fatto; che cosa altri hanno fatto, o avrebbero potuto fare, o si può immaginare che abbiano fatto, etc. (..)

3) ZONA DELLE SPIEGAZIONI (EXPLANATORY ORBIT)

I tentativi di spiegazione sono differenti dal riferimento diretto: “E’ proprio per questo che sono così ostile?”, “Questo deve significare che sto proiettando un’omosessualità latente”, “Questo vuol dire che ho una necessità di fallire” (…).Anche un minimo passo nel processo del focalizzare può cambiare lo scenario interno, così che l’intera serie di concetti esplicativi diventa di colpo irrilevante. Paragonati al significato emozionale, i concetti esplicativi sono così rozzi, così generici, così vuoti, che anche quando sono accurati sono astrazioni inutili.

4) ARRANGIARSI (SELF-ENGINEERING)

Un quarto espediente consiste in qualcosa che potrebbe esser chiama­to “arrangiarsi”. Anche in questo caso la persona non si volge al proprio senso emozionale. Piuttosto, “parla dentro di sé”, è in piena attività, riordina in continuazione i propri sentimenti senza smettere di sentire che cosa essi siano. Questo arrangiarsi è evidentemente differente dal mettere a fuoco un referente emozionale, dal percepire e simbolizzare il suo significato implicito.Non sempre il SELF-ENGINERING è futile. Infatti può aver suc­cesso, esattamente nella misura in cui la propria esperienza vissuta non funziona implicitamente nell’aspetto considerato. La difficoltà, con la forza di volontà e l’arrangiarsi, non è come Sullivan credeva e Ro­gers sembra talvolta ritenere, che una tal cosa non esista. Esiste. Una persona, non viene automaticamente “sospinta” verso l’azione o l’autocontrollo.  Forza di volontà, decisione e ingegnosità personale sono spesso necessarie. Tuttavia, esse non possono aver efficacia in aspetti in cui l’ esperienza vissuta non funziona implicitamente –  per questi aspetti, sono prima necessarie risposte personali o risposte di altri, così che il processo possa andare avanti e l’experiencing funzioni quindi implicitamente (…).Chiamo questo un fatto, perché in psicoterapia lo osserviamo. Nel contesto di cui sopra, si tratta di una formulazione teorica, non di un fatto. Sono state definite alcune variabili di ricerca osservabili: si è notato un aumento significativo dell’assenso a un insieme di descrizioni dell'”immediatezza” nella psicoterapia efficace (Gendlin e Shlien, 1961). Un gruppo di terapeuti ha significativamente osservato una maggiore occorrenza di quella che definivamo come “nuova esperienza” nel corso della seduta nei casi con esito positivo. A paragone dei clienti con esito negativo, quelli con esito positivo ricevevano valori significativamenti più alti su una scala di variabili relative all’immediatezza nell’esperire e nell’esprimere (contenuti di ogni tipo, relativi a sé, al terapeuta, al problema ecc.).  Solo nel contenuto verbale e concettuale l'”autoesplorazione” in psicoterapia è distinguibile dalla “relazione” personale. Come processo d’ esperienza in corso, esse sono la stessa cosa. L’individuo può dire “solo qui sono me stesso” (mostrando che il processo include sia il sé che la relazione), o può parlare maggiormente della relazione o maggiormente di se stesso. E’ lo stesso processo, sia che il contenuto sembri riguardare di più il sé o di più la relazione. Le risultanze di una ricerca (Gendlin, Jenny and Shlien, 1960) si sono avvalse di alcune variabili operative connesse a questo tema. Agli psicoterapeuti veniva chiesto di esprimere quantitativamente la proporzione in cui “la terapia, per questo particolare cliente, si accentra prevalentemente sul suo problema, o… sulla relazione con lei”. Queste valutazioni non risultavano connesse con l’esito. D’altro canto, vi era una correlazione fra esito e le seguenti due misure: “Quanto conta per il cliente la relazione come fonte di nuova esperienza? Ad esempio: ‘Non sono mai riuscito a permettermi di sentirmi dipendente e indifeso come si sento ora’; oppure: ‘Questa è la prima volta che mi arrabbio veramente con qualcuno’.” Un’altra misura che si correla con l’esito è: “In che misura il cliente esprime i suoi sentimenti, e in che misura invece ne parla?”. Queste risultanze indicano che l’esito non è influenzato dal fatto che il contenuto (l’argomento) sia se stesso o la relazione. Ciò che conta è piuttosto se l’individuo si coinvolge in una modalità di interazione nel presente che comporta elementi esperienziali di nuova ricostituzione. Questa ricerca illustra l’utilità dei concetti di processo, in quanto contrapposti ai concetti di contenuto, nel generare variabili di ricerca operative. Una ricerca precedente (Seeman, 1954) aveva posto il problema non individuando alcuna associazione significativa fra il successo della psicoterapia e la discussione del rapporto con il terapeuta. Tale risultanza sembrava contraddire l’importanza della relazione. La ricerca più recente l’ha riprodotta e ha aggiunto misure concernenti il processo di interazione in corso. La teoria dovrebbe generare definizioni operative. Il tipo di teoria più efficace a tale scopo è quella che impiega concetti di processo con riferimento all’esperienza in corso. Dobbiamo distinguere accuratamente dalla teoria i termini operativi (a cui conduce) che vengono in seguito definiti dalla prassi e dall’osservazione, non dalla teoria.1) Le parole di una sequenza sono proiettate ognuna per frazioni di secondo, su uno schermo con un tachistoscopio. Quando la persona non è capace di leggere la parola, questa viene di nuovo proiettata più volte. Ora, per esempio, una persona può essere in grado di leggere le parole “democrazia”, “tavola”, “indipendenza”, con un numero medio di ripetizioni, ma per la parola “sesso” egli richiede due volte tanto tali ripetizioni. La teoria dell’inconscio spiega questo come segue:L’organismo può discriminare uno stimolo e il suo significato per l’or­ganismo senza utilizzare i centri nervosi superiori implicati nella coscienza.Le teorie attuali hanno in comune questo assunto: parole come “inconscio”, “rimozione”, “nascosto”, “non io”, “negato alla coscienza”, “sottocezione” (SUBCEPTION), tutte quante implicano l’assunto fastidioso, ma apparentemente necessario, che c’è una discriminazione prima che abbia luogo una consapevole distinzione, e che l’esperienza o il contenuto che manca alla coscienza della persona esiste attualmente in qualche parte dentro di lui. In quale altro modo si possono spiegare l’esempio di cui sopra e le numerose altre osservazioni proprio uguali? Abbiamo bisogno di non supporre che qualcosa nella persona dapprima legga la parola sesso, poi divenga ansiosa a questo riguardo, infine forzi questa parola a restare fuori della coscienza. Cerchiamo piuttosto di interpretare questa osservazione come un caso in cui la persona non legge neppure la parola finché non lo fa consapevolmente. Perché allora ci mette tanto a leggere proprio quella parola quando ha potuto leggere le altre in metà tempo? Abbiamo cercato di mostrare prima (definizioni 4 e 16) che, per leggere una parola e dire cos’è, la funzione dell’esperienza vissuta è necessaria. Noi leggiamo senza metterci a pensare esplicitamente al significato di ciò che leggiamo. Abbiamo le immagini sonore e abbiamo il significato vissuto. Ora, se per qualche ragione il nostro processo emozionale non può interagire con le parole, i nostri occhi possono continuare, ma noi non siamo in grado di dire cosa abbiamo letto. Per spiegare la questione, la teoria del processo deve sostituirsi alla teoria del contenuto. I1 processo d’interazione con i simboli di “mettersi a leggerli” esige la funzione dell’experiencing (il processo corporeo interiormente vissuto). Se questo processo vissuto non sta funzionando sotto qualche aspetto, allora la discriminazione attesa non avrà luogo per quanto riguarda quell’aspetto. Aspetti che dovrebbero essere “impliciti” non funzioneranno e, quindi, non potranno interagire e interpretare la situazione in corso. Per questo una persona può interpretare male o semplicemente omettere (essere incapace di completare) il processo relativamente a quegli aspetti, senza che questo implichi che egli prima li ha interpretati completamente e poi li esclude dalla coscienza. La differenza può essere posta semplicemente: le teorie di contenuto presumono che si completi il processo di conoscere, di esperire, di interpretare, di reagire, ma che parte di questo processo non arrivi alla coscienza.  La presente teoria sostiene che il processo non viene proprio completato.2) Una seconda osservazione:Un tale lascia una certa situazione sentendosi abbastanza contento. Quattro giorni dopo diventa consapevole del fatto che, in realtà, era stato piuttosto in collera per quanto accadeva. Egli sente che “è stato” in collera tutto il tempo ma che “non ne era cosciente”.Ora, la nostra teoria nega che ciò che egli ora chiama collera fosse nel suo corpo per tutto il tempo, senza coscienza. C’era si qualcosa, ma non il processo di andare in collera. Egli ora chiama questo processo essere in collera, perché ora è impegnato in quel processo, e sente con chiarezza la qualità liberante (vedi definizione 8) che gli fa conoscere, fisiologicamente, come la sua collera di ora “soddisfa”, “scarica”, “libera”, “simbolizza”, “completa”, in breve, ha una qualche profonda relazione emozionale con la condizione che egli ha vissuto fisicamente durante i quattro giorni precedenti. Il processo non stava avvenendo, e ciò si avvicinava ad una condizione fisiologica che solo ora è cambiata. Quando un’esperienza “limitata dalla struttura” “arriva a completarsi”, sentiamo che ora sappiamo cosa c’ era allora; non lo sapevamo allora, perché il processo ora in corso è differente dalla condizione bloccata di allora.Solo completando il processo con la risposta ai sentimenti o ai signi­ficati vissuti attuali (e che non sono collera) la persona poi “diventa cosciente” della collera. Se consideriamo ciò in termini di contenuto, è un gran caos. Prima il contenuto non c’ è, poi si dice che c’è stato tutto il tempo (nascosto là, da qualche parte). Ma in termini di processo è proprio questa profonda relazione emozionale tra la collera posteriore e la condizione precedentemente vissuta, che ci dice che un processo prima bloccato soltanto adesso è stato completato.Non abbiamo perciò bisogno di supporre che nella persona vi siano due sfere fisiche (TWO MINDS) – essendo una la sfera dell’inconscio, che prima percepisce un contenuto e poi consente o impedisce alla sfera del­la coscienza di percepirlo. Piuttosto, il vissuto cosciente (qualunque esso sia – secondo noi è tensione o insoddisfazione e non collera.) deve ricevere una risposta ed esser spinto avanti. Solo così il processo arriva davvero a completarsi e la collera (o qualunque contenuto supposto) viene ad essere un aspetto del processo ricostituito.Nel campo della “modificazione” di personalità siamo veramente ca­renti di concetti sufficientemente specifici per discutere e definire le osservazioni. Questa teoria tenta di offrire tali concetti. Si spera che con questi concetti (ed altri) il nostro modo di pensare e di discu­tere progredirà, e la nostra capacità di isolare e definire osservazio­ni si affinerà. ­Può esserci qualche difficoltà nell’attenersi a nuove definizioni quali DIRECT REFERENT, REFERENT MOVEMENT, CARRYING FORWARD, RECONSTITUTING, MANNER OF EXPERIENCING, IMPLICIT FUNCTION.Non è possibile sperare che ventisei definizioni riusciranno ad entrare nel linguaggio. Tuttavia, abbiamo bisogno di questi termini, o di migliori, per discutere la modificazione dì personalità.

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